MOGOL RACCONTA MOGOL
TALMASSONS: SERATA DI GALA MOGOL RACCONTA MOGOL 27 agosto 22
La serata di gala per 500 persone, ha continuato la tradizione iniziata nel 2010 dal sindaco di allora, Pietro Mauro Zanin. Con l’Accademia Musicale Naonis, diretta dal M° Valter Sivilotti, la partecipazione del cantante Michele Cortese, la premiazione delle vincitrici del contest 2020 #LaMusicaNonSiFerma,
lanciato sul web durante il lockdown da Franca Drioli di ArteVoce Voice&Stage Academy: Caterina Elena Spiganti (Arezzo)Margherita Pettarin (Gorizia) Consuelo Avoledo (Valvasone-Arzene).
Mogol, accolto da applausi calorosi, è andato subito al tema della serata: le sue canzoni.
Qual è il suo segreto? Sentire cosa dice la musica e segue i pensieri e far vedere le immagini. Musica e parole devono dire la stessa cosa. Sulle note di “Vorrei non vorrei, ma se vuoi” ha fatto l’esempio pratico, concludendo simpaticamente: «Adesso sapete come fare. Domani mattina, tutti a scrivere canzoni. E tutti a cantare insieme. Per noi è un onore se cantate, così siamo, tutti, più felici e stiamo bene tutto l’anno».
«Parlo della mia vita nelle canzoni. Sono nato da due genitori giovanissimi: 23 e 21 anni. Amorevoli, ma rigorosi. Ciò che sono diventato lo devo a loro. Abitavo in periferia, con rare macchine, il frumento, il granoturco, la strada dove giocare. A 10 anni mi sono innamorato di una vedova di 21 e, quando appendeva gli abiti, le si alzavano le gonne. Io, incantato, aspettavo quel momento. Ecco, così è nata la canzone “I giardini di marzo”.
«La nostra missione è aiutare gli altri. “Giulio”, mi ha detto mia moglie quando è iniziata la guerra in Ucraina, “ho ospitato una famiglia ucraina nell’appartamento vicino a noi”. “Hai fatto bene” le ho detto. Quella famiglia è la nostra gioia, con tre bambini bravissimi. Ma c’è una bambina di due anni – terribile, ma meravigliosa – che io chiamo Putin».
Dal desiderio di aiutare gli altri è nata la canzone “Anche per te”.
«A 18 anni, dopo il diploma, mio padre mi regalò un viaggio di sei mesi in Inghilterra, ospitato da una famiglia ebrea. Dormivo nella stanza di loro figlio, che era andato all’estero a studiare. Ero solitario e non uscivo mai. Di solito, trascorrevo il mio tempo con il padre. Un giorno, mi accompagnò in una grande villa, dove c’erano tanti ragazzi della mia età che preparavano una festa ebrea. Sharon, una ragazza molto bella, mi accolse, chiedendomi se volessi essere il suo ragazzo. Risposi di sì, naturalmente. Ma le chiesi informazioni sui preparativi, facendole capire che non ero ebreo. “Mi dispiace – mi disse – non puoi essere il mio ragazzo». Da lì, l’ispirazione per “Pensieri e parole”.
«Eravamo in 4 sullaseicento, diretti a Como. Davanti c’era Lucio Battisti, io ero seduto dietro. Stavo scrivendo la canzone con la storia di un uomo che esce con una donna ma pensa a un’altra. Arrivati a Como, l’avevo finita. Era “E penso a te».
«Ero andato a trovare Mara Maionchi, direttrice artistica della Fonit Cetr. Abbiamo parlato, l’ho salutata e, uscendo, avevo visto un ragazzo al pianoforte che mi salutava. Era Mango. Mi chiese di scrivergli la canzone per la sua musica. Ho scritto “Oro”, oltre ad altre 15 canzoni. Mango era di livello mondiale. È morto di infarto mentre cantava a favore di un villaggio in Africa e, prima di cadere a terra, ha chiesto scusa».
«C’erano due ragazzi che mi venivano a trovare: Nicola di Bari e Mino Reitano. Mi davano tanta allegria. Un giorno, Nicola, mi disse: “Ho una musica bellissima”. Prese la chitarra con due dita, senza toccare le corde: non sapeva suonarla e, in più, intonava con un finto inglese. Ma la canzone era bella. Andai di là, da Lavezzi, di 20 anni. Era un corteggiatore nato. “Mario vieni, Nicola non ha le armonie. Aiutalo!” Sentendo la musica, ho scritto “La prima cosa bella”.
«Vi racconto una cosa che sembra incredibile. Riguarda l’aldilà ed è consolante. La mia segretaria mi disse di aver ricevuto una telefonata da una medium di Barcellona. Diceva di aver avuto un incontro con Lucio Battisti, nello specchio del bagno. Le aveva chiesto di contattarmi per chiedermi di scrivere una canzone dedicata all’arcobaleno. Non le avevo creduto. Raccontai il fatto alla fidanzata dell’epoca e lei lo raccontò alla sorella, che mi mandò, per fax, la copertina di Firma, un quindicinale, con l’immagine di Lucio Battisti, vicino al mare, con l’arcobaleno. Il direttore della rivista, Giulio Caporaso, non aveva potuto fare a meno di pubblicarla. Ero sorpreso e non sapevo cosa fare. Avevo un appuntamento con Gianni Bella e Celentano. Raccontai loro la storia. “Non troverò mai la musica giusta”, dissi loro. Gianni aveva una cassetta con la musica dell’arcobaleno. Me la feci dare e scrissi, in 15 minuti, la canzone. Arrivato a Lodi avevo finito, ma, forse, mi era stata dettata. Mandai il testo a Celentano, ma una frase non suonava bene. Tornando da Roma vidi un arcobaleno alto 80 metri che si sdraiava sul cofano dell’auto. Dissi ad Adriano di lasciarla così. L’incisione era perfetta. La canzone è: “Arcobaleno”.
«Lucio mi aveva dato un dischetto in inglese. In 20 minuti avevo scritto quasi tutta la canzone. Ma arrivò mia moglie, con le bambine. Dovevamo andare a Ovada, vicino a Torino, dai genitori di lei. Partii, ma ero distratto, perché ero dentro alla canzone. Non avevo la penna, dovevo ricordarmi le frasi di prima, poi aggiungere quelle pensate. Appena arrivato, ho scritto, di corsa. Per fortuna, mi ero ricordato tutto. Era un momento particolare della mia vita. Volevo bene a una persona ma sentivo qualcosa di stonato. Avevo scritto “Nastro rosa”.
«Ho scritto di brigate rosse e di ciò che accadeva nel mio paese. Ho rischiato la morte. Una sera, mi telefonò una mia cara amica sposata, dicendomi che il marito la tradiva, tutte le sere. Mi chiese cosa stessi facendo. «Mi sto facendo qualcosa da mangiare, vuoi venire? ».
«Sì» rispose.
E l’ho consolata. Poi è nata una storia, ma, lei, continuava a vedere il marito e non pensava al mio dolore. Ho scritto “Una giornata uggiosa”, ma l’editore non voleva l’aggettivo uggiosa, perché non di uso comune. Un giorno, andai a far benzina e sentii il benzinaio dire “oggi è una giornata uggiosa”. Esultai.
«Non criticatemi. Vi racconto un altro pezzo della mia vita. Quando mi sono sposata ero un ragazzino di 23 anni. Non sapevo niente: lei, 20 anni, era elegante e intelligente. Io, un cretino. Non ero maturo, però mi son sposato. Dopo due anni, passava una rossa e… l’ho seguita. Separato, ero stato abbandonato da tutti. Andai in Brianza, in un Mulino. E ho scritto “Il mio canto libero”.
«Il mio primo amore aveva 6 anni. Si chiamava Titti. Io ne avevo 5. Abitavamo a un metro di distanza. Non l’ho più vista, ma ho immaginato di incontrarla. E ho scritto “La canzone del sole”».
E se n’è andato, Mogol, vestito di emozione e della lunga vita lunga indossata con garbo e semplicità.
Standing Ovation e applausi interminabili.
il sindaco Pitton, commosso, ha raccontato di quando aveva dieci anni e prendeva la cassetta dall’auto del padre, per ascoltarla in cantina: c’erano le canzoni di Mogol.
«Sono un sindaco fortunato. Stasera abbiamo scritto una pagina radiosa per la nostra comunità».
Per il Presidente del Consiglio Regionale, Pietro Mauro Zanin, “mai così vicino a un genio semplice e diretto: grazie Mogol!”.