Il Paese magazine di cultura, società, turismo del Medio Friuli febbraio 2020
Chi si ricorda il diario con la serratura e la chiavetta accuratamente nascosta affinchè nessuno potesse leggere le confidenze scritte, magari bagnate da lacrime adolescenziali? Io sì perché di diari ne ho tanti, al punto da riempire due grandi borse pronte all’uso in caso di fuga. Sì, farei di tutto per salvarli se fosse necessario, perché contengono la mia vita, da quando avevo 14 anni. Perché vi dico questo? Perché mi accorgo che oggi il diario è fuori moda. Qualcosa di obsoleto, un’inutile fatica. Perché scrivere a mano se posso farlo su una tastiera o sul telefono? Sarà che sono nata a metà dell’altro secolo, sarà che amo scrivere, ma sono certa che non sia la stessa cosa. Primo, perché le parole sono diverse, come se si ribellassero. L’uso troppo frequente della tastiera non lascia il tempo al pensiero di passare dal cervello alla mano che deve fare un viaggio impegnativo per tradursi in parola. Certo, la tastiera è più rapida, permette correzioni istantanee ma non può sostituire la scrittura manuale, magari in corsivo, così affascinante perché delinea la personalità e, soprattutto, rimane nel tempo. Qui si innesta l’importanza del diario, muto amico, confidente, affidabile confessore. Solo per il fatto di scrivere, spesso, si risolvono problemi e si prendono soluzioni perchè ci si dà il tempo di vedere le cose da un’altra angolazione. Siccome poter parlare a qualcuno è cosa rara, ecco che il diario diventa ascoltatore, consigliere a bassissimo costo e, soprattutto, cassaforte dei ricordi. Eppure sta sparendo, come il floppy disk, il fax, la macchina fotografica compatta, le cassette, i cd, i dvd, la penna stilografica e la carta carbone. Ma la cosa ancor più grave, senza nulla togliere al progresso, è ciò che sto riscontrando riguardo alla scrittura e al corsivo che, per molti allievi, è puro fastidio, tant’è che gli preferiscono lo stampatello, la tastiera o i messaggi vocali, con sigle che sostituiscono intere parole, tvb, cmq, kiss, lovvo. Questo è il linguaggio corrente. Chi scrive, poi, sostiene la penna in modo improprio, con impugnature rocambolesche sia nell’inclinazione che nelle dita. Prendere appunti è una pratica poco frequentata anche se favorisce l’abilità amanuense, fotografa un concetto appreso e lo rende consultabile nel tempo. Gli studenti oggi fotografano la lavagna o salvano sulla Lim lo scritto dell’insegnante o stampano la presentazione digitale. Se la lezione viene svolta solo a parole, i più rimangono disarmati. In modo simile al diario, la pratica di prendere appunti aiuta la mente a ricordare e ad apprendere. La grafia comunica e le parole descrivono conoscenze, sentimenti, umore e passione, antesignane degli “emoticon”. Intanto la cultura si impoverisce, complice l’uso di termini in lingua non italiana, le circolari e il registro elettronico che, di fatto, rendono inutile anche il diario scolastico. Gli studenti non devono trascrivere i compiti e nemmeno un pensiero sulla giornata trascorsa. Tutto viene tuffato nei gruppi whatsapp, diretti ad altri, effimeri e destinati all’oblio e non a se stessi come nel diario che conserva e promuove riflessioni successive. E dei diari già scritti cosa ne sarà? Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, quasi al confine tra Toscana, Umbria e Romagna, è diventata la “Città del diario“. La cittadina ospita, infatti, un archivio pubblico che raccoglie diari di gente comune e li salva dalla discarica. Nel Piccolo Museo del Diario. Mi sa che dovrò prenotare un posto per i miei.