Tempo di Covid 25 Fiabe di fata Pierina- Aspettando Natale - Pierina Gallina news

Tempo di Covid                                           25 Fiabe di fata Pierina-  Aspettando Natale

Tempo di Covid 25 Fiabe di fata Pierina- Aspettando Natale

Fata Pierina si mette in viaggio, col vestito lungo, rosso, e la valingira, la fedele valigia di cartone, piena di fiabe.  Farà in modo di raddrizzare lo strambo mondo del 2020. Incontrerà – sul computer – la scuola di scrittura, dove i bambini le doneranno una fiaba ciascuno. In ogni fiaba, un dono speciale: le ali della fantasia, l’amore dei bambini, le parole, la magia delle fiabe. Arriverà, dopo vari incontri,da Gesù, il giorno di Natale. A lui, racconterà l’ultima fiaba. 25 giorni di dicembre. 25 fiabe, nata dalla sua fantasia, pronte a lasciare una carezza per la buonanotte. Una speranza per il Natale più vero!

Per ascoltare: vai alla pagina fiabe sonore.

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New mailN° 1)   1 Dicembre  2020                                           UNO STRAMBO MONDO: il 2020

1 dicembre             UNO STRAMBO MONDO

Nel lontano 2020, era successa una cosa stramba. Sììì, il mondo non era più rotondo ma… straaambo! Strambo? E cosa vuol dire? Storto, veh! Pensa che gli aerei non volavano più, le navi da crociera dormivano comodose nei porti, la neve scappava dal polo nord e dal polo sud, i ponti si sbottonavano la giacca e i temporali correvano come cavalli d’acqua. E la gente? Aah, la gente, quante ne combinava!  Non si abbracciava, non si baciava, non si toccava. Quasi quasi, nemmeno i nonni potevano stare coi nipotini. I signori non potevano bere il caffè al bar o andare a cena in ristorante. Eh no, erano chiusi, sììì, proprio chiusi, dal mattino alla notte. Anche le scuole lo erano, quelle dei ragazzi, che studiavano e si vedevano, stretti stretti e solo di faccia, sul computer o sul telefonino.

I bambini, però, sì che ci potevano andare, a scuola, ma non cantavano né si prestavano la matita. Dovevano mangiare sul banco e stare sempre lì, fermi.  Tutti, a parte i piccoli piccoli,  indossavano  la mascherina, un pezzo di stoffa dal mento a quasi sotto agli occhi, con due cordoncini dietro alle orecchie.  I paesi erano rossi, arancioni, gialli. Anche nel mese del Natale era così. Nessuno viaggiava né poteva andare a trovare gli amici, nemmeno a pranzo alla domenica. Si parlavano e si vedevano solo al cellulare. Era strambo il mondo, vero?  Ma, al Natale, nessuno voleva rinunciare, anche se in giro c’era un virus a forma di pallina rossa, invisibile, e molto, mooolto  dispettoso. Proprio per colpa sua,  il mondo era diventato strambo…un po’ lo era già prima eh… ma, in quell’anno lì, aveva esagerato!

Perfino Babbo Natale non era sicuro di poter volare in cielo e arrivare da tutti i bambini buoni. Così, ad aiutarlo, ci pensò una fata. Anche se era in pensione, aveva tirato fuori dall’armadio il vestito rosso, sììì, quello magico, e aveva riempito di fiabe la Valingira, anche lei magica, perché  girava, girava, per paesi e per città, a portare ovunque una fetta di felicità.  Ah, dimenticavo, quelle fiabe, lei, le inventava, mica le leggeva sui libri!

Quel mese di dicembre, ogni sera, prima della nanna, ne raccontava una ai bambini veri e a quelli cresciuti.  Tanti la conoscevano già, ma molti altri si erano avvicinati sentendo il profumo di fiabe. Come facevano? Semplice! Le vedevano con le orecchie e le ascoltavano con il cuore. Te l’avevo detto che erano tutti strambi, in quello strambo mondo, nel lontano 2020! E tu, dov’eri?       Buonanotte

  2 dicembre                                    FATAFIABA

C’era una volta una nonna felice che scriveva fiabe e le raccontava ai bambini piccoli e a quelli cresciuti. Le piaceva guardare i loro occhi a ruota e le bocche a uovo mentre cambiava voce e faceva disegni in aria, con le mani. Le faceva volare, di su, di giù, di qua, di là, e disegnava stelle, lune, buffe facce.

Aveva un nome, quasi da bambina:  Pierina. Ma molti la chiamavano Pier, Pieri, i più eleganti, Piera e quasi tutti ridevano quando si presentava, dicendo, con aria seriosa, ma per finta: «Sono Pierina Gallina e faccio l’uovo ogni mattina: bianco, rosso, verde e blu, come vuoi tu. E a Natale? Ma d’oro e d’argento, così avrai il cuore sempre  contento». Indossava un vestito lungo, di pizzo rosso e un cappello in testa.  Le fiabe, lei, le nascondeva, perché non prendessero freddo o caldo o non scappassero. Le metteva dentro a una vecchia valigia un po’ sghemba, di cartone marrone  chiaro.  Valingira era il suo nome, e le piaceva girare e girare, per paesi e per città, portando a tutti una fetta di felicità. Con lei, fata Pierina, girava il mondo, quello quadrato di un libro o quello rotondo di un sogno. Camminava, camminava… e, quando era tanto felice, si fermava, cantando sottovoce: «A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar, da narrar. Venite con me, nel mio mondo di fiabe per sognar, per sognar».

La gente, allora, si avvicinava, le si sedeva accanto, e ascoltava. La fiaba che a Fata Pierina piaceva di più era quella che cominciava così: « C’erano una volta, un papà, una mamma e due figli,  già ragazzi. Mai e poi mai, si sarebbero aspettati che, nella loro famiglia, povera e con una casa in prestito, arrivasse una bambina. Invece, il giorno dopo la notte magica, quando il sole sposa la luna e l’estate fa “cucu”, quella bambina arrivò. Sua madre avrebbe voluto chiamarla Giovannina, perché quello era il giorno di San Giovanni, ma il padre, Pietro, disse: « No, si chiamerà Pierina, come me”.       E così fu.  A quella bambina, nata un po’ per caso e un po’ per sbaglio, piaceva giocare dentro uno scatolone e chiudere il tetto di cartone, per non farsi vedere. Lì, la aspettava il suo amico immaginario: era un bambino-dottore che sapeva guarire i piccoli malati. A lui, Pierina, diceva tante cose, mentre lo aiutava a fare punture, mettere cerotti, disinfettare ginocchia sbucciate.  Ancora non lo sapeva, lei, ma quelle si chiamavano fiabe!»

“A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar, da narrar…”   Buonanotte.

  3 dicembre        ALI DI FIABA     LA SCUOLA DI  SCRITTURA    

Camminando, camminando, quel giorno, fata Pierina, capitò in una scuola, ma non  quella  con i muri, i banchi, le bidelle,  i libri. Nooo, era una scuola dentro ai computer. Nel lontano 2020, infatti, la gente faceva così. Chiedeva il permesso a Google Meet, che poi vuol dire incontrarsi, scriveva una password con i numeri magici e una parola d’ordine. In questo caso era «SCUOLA DI SCRITTURA».  Il cuore di Fata Pierina era come un elicottero: aveva trovato, finalmente, la scuola che cercava, dove i punti esclamativi, le caporali, le virgole stavano al loro posto. Altrimenti  gli incisi – che non sono i denti –  quanto sarebbero arrabbiati.  Le parole erano nuova,  di pacca,  come l’HAIKU dei giapponesi,  fantasy, horror. Uuuu!  Perfino la bacchetta magica si spaventava, ma passava subito, perché, tanto, le storie, finivano bene. E la maestra? Bellaaaa, con la fronte alta, da regina. E poi c’erano cinque bambine e un bambino biondo, tutto ricciolino, la ascoltavano, attenti.  Era musica in parole, la sua.

«La scrittura è un gioco serio, altrimenti è meglio non farlo. Vuoi giocare anche tu?»

Al  «Siiiii» lungo un chilometro della fata, seguì un compito.

«Inventiamo una fiaba per lei.  Presto sarà Natale e, ognuna deve contenere un dono. Ma, attenzione, un dono che non si può comprare».

In un batter d’occhio, Sara, con un serpente verde, di peluche, sulle spalle, Caterina, che un momento c’era e un altro spariva – merito del signor Internet – Marvi con la sciarpetta bianca e rosa, Beppe, dal ciuffo d’oro, Silvia dai capelli rossi e  un’altra Silvia dalla chioma scura, e pure maestra Cinzia, stavano scrivendo. Beppe finì per primo.

Alzò l’indice e iniziò a leggere: «C’era una volta una farfalla che, con il leggiadro tocco di ali, riusciva a donare serenità, ovunque si posasse. Si chiamava Pierina. Girava il mondo alla ricerca di chi, del suo dolce abbraccio, aveva bisogno. Dimenticava, però, che anche lei desiderava essere coccolata. Anche lei, in mezzo alle strane cose che succedevano in quel 2020, si rattristava. In quel momento, una folata di vento la fece rimbalzare, tra capitomboli e piroette, proprio sulla scrivania dove amava scrivere.  A testa in giù, capì che avrebbe potuto vedere le cose da altri punti di vista. Da lì, riprese a volare,  con coraggio, trovando la soluzione per continuare a dare amore, come mai aveva fatto prima».

Ecco, ecco il dono di Beppe: le aliiiiiiiiiiiiii.  Fata Pierina era diventata una farfalla, leggera, di un rosa intenso a puntini blu.  Provò a sbattere le ali, e, poi, sì,  volò, sìììì, volò, come nel suo più bel sogno. Maestra Cinzia le tese la mano e, sottovoce, le disse: «Vai, vola, vai a raddrizzare questo strambo mondo. Ricordati, però,  che hai solo un giorno. Poi torna, abbiamo altri doni per te. Siamo aperti, almeno fino a Natale».

 

 4 dicembre    FIABA ROCKDOWN       Angelica e Farfalla Pierina                                 Valeria Docampo

Era il 4  dicembre del 2020, quell’anno lontano in cui non ci si poteva abbracciare e tutti stavano chiusi in casa. In tutto il mondo eh?  Eppure, Fata Pierina – che aveva avuto in dono le ali da farfalla dal piccolo Beppe – volava, più veloce che poteva. Non badava  al freddo, al vento, alle foglie, che  le facevano carta vetrata sul musetto. Volava con tutto il coraggio che aveva nel piccolo corpo e nelle sei, minuscole, zampe. Sapeva di avere solo un giorno  – sì, perché le farfalle vivono solo un giorno – per raddrizzare il mondo strambo che toglieva il sorriso ai papà, alle mamme, ai nonnini, perfino ai bambini.  Glielo avevano chiesto il bambino Beppe – che da grande voleva fare lo scrittore – e la maestra Cinzia.  Ma come poteva lei, così esile, e fuori stagione, fare una cosa tanto importante? A un tratto, senti un colpetto sull’ala destra. Cos’era? Brrrr, che freddo! Farfalla Pierina stava per cadere, sotto fiocchi di gelo che gli umani chiamavano neve. Ma dove si erano nascosti i suoi fiori e perché il cielo era tutto grigio?  Per forza, era inverno! Era lei, la sbagliata, lei, la fuori posto! Lei, che aveva avuto un incarico importante, però, no, no, non poteva arrendersi. Con fatica, si avvicinò a una graziosa casa, con tante luci colorate dentro. Si appoggiò sulla finestra e vide una bambina, forse di sei anni, in braccio alla sua mamma.  A un tratto, la udì chiederle:

«Mamma, cos’è il Rockdown?»

Pazientemente, la mamma le disse che non si dice Rock ma Lockdown.

«E cosa vuol dire?» chiese Angelica. Quello, infatti, era il suo nome.

«Vuol dire che dovremo  stare chiusi in casa, come la scorsa primavera. Ricordi, vero?»

«Eh, sì, non si andava nemmeno all’asilo, anche se ero una grande. Allora, tu, non andrai più a lavorare?»

«No, dovrò stare a casa, perché dovrò chiudere il negozio».

«Mamma, se tu non lavori, niente soldini, vero? Niente soldini, niente pappa. Ma io ho fame, la sera!»

«Tesoro, stai tranquilla, mangeremo. Forse, un po’ di meno, ma saremo insieme. E poi, passerà questo anno. Passerà il Lockdown».

«Sei sicura, mamma?»

«Una mamma non dice bugie» rispose mamma Elisa.

Nel sentire quelle parole e nel vedere che Angelica si era addormentata, appoggiandosi fiduciosa, farfalla Pierina riprese a volare. Non sentiva più il freddo, nonostante la neve ormai alta, ma uno strano caldo lì, dove batte il cuoricino. Non sapeva mica cosa fosse né perché accadesse. Ma di una cosa era sicura: aveva capito di essere forte!

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 5 dicembre                                     FIABA IN SOGNO     La violinista di Praga

Era il 5 dicembre 2020, quello strambo anno di uno strambo mondo.  In giro, nessuno. Si era fatta sera e farfalla Pierina era stanca. Riparata sotto a un tetto di foglie secche, non voleva dormire.   Aveva ancora un giorno e una notte, per vedere il mondo. Stava pensando alla fotografia che aveva visto sul libro della mamma di Angelica. Aveva letto … Praga!  Al solo pronunciandone il nome, con le ali ben accomodate, si addormentò. E, la magia del sogno, la portò proprio là, nella Città Piccola o Mala Strana, dove il silenzio, stupito della neve, veniva imbevuto dalle note di un violino, fluttuante, nel grigio. Sempre più vicino, con una melodia meravigliosa. Poi, di nuovo, silenzio. Una piccola mano tesa era spuntata dal nulla. Chi aveva ascoltato il violino vi appoggiava una moneta, anche due, vedendo una bambina di otto anni, vestita di nuvola a fiori.  A terra, una logora custodia di pelle nera accoglieva un piccolo violino.  Preso il luccicante tesoro tra le mani, la bambina lo fece tintinnare, soddisfatta. Tra poco sarebbe stato Natale e lei voleva fare un bel regalo ai suoi fratelli.   Con le trecce che tamburellavano sulle spalle, gli occhi grandi come cattedrali, la bambina di nuvola a fiori, andò sul Ponte Carlo. Stava accordando il violino, quando vide avvicinarsi un uomo, con cappello a cilindro, nero.

«Ciao, piccola. Come ti chiami?»

«Mi scusi, signore, io non sono piccola. Sono giusta.  Ho otto anni e il mio nome è Tereza».

«Chiedo scusa Tereza, puoi dirmi in quale scuola hai studiato così bene il violino?»

«In nessuna, signore. Ho imparato da mio padre che, a sua volta, lo ha appreso da mio nonno».

«Sai, io sono il direttore dell’Orchestra sinfonica di Vienna. Ne hai mai sentito parlare?»

“Nossignore».

«Sei una bambina, pardon, una violinista prodigio. Vorrei averti lì, con me».

“La ringrazio, signore, ma io non lascerò mai la mia Praga e la mia famiglia. Sa, ho 4 fratelli che hanno bisogno di me.  Vede questo violino? Viene da Auschwitz e apparteneva alla sorella di mio nonno.  È il violino della Shoah. Per me è davvero importante!»

L’uomo, visibilmente emozionato, si mise la mano destra sul cuore e, inchinandosi, indietreggiò.

Tereza, con pupille color zaffiro sulla Moldava, posò l’archetto sulle corde e, subito, una dolcissima ninna nanna vibrò, dondolandosi sulla brezza del fiume.

Farfalla Pierina era lì, sulla spalla di Tereza.

Solo a lei aveva raccontato la sua storia.

“Dormi dormi sul mio cuore,  dormi, dormi,  non mi scordare”…  Buonanotte

 6 dicembre          IL PICCHIO E LA FORMICA 

Brrrr… che freddo. Per forza, era dicembre!  Farfalla Pierina si era appena svegliata da un bellissimo sogno, e ancora canticchiava :«Dormi dormi sul mio cuore,  dormi, dormi non mi scordare». Era la musica di Tereza e del suo violino, là, sul Ponte Carlo, a Praga.  Praga? Ma Praga è lontana! Siccome, in quello strambo anno, il 2020, non si poteva viaggiare, almeno sulle ali dei sogni, si poteva andare ovunque. Bastava desiderarlo! E lei era andata così lontano stando ferma, sotto alle foglie secche.  Anche se non aveva l’orologio, farfalla Pierina sapeva che il suo tempo stava finendo. Doveva tornare alla Scuola di Scrittura, subito, per dire che non era riuscita a raddrizzare il mondo strambo, ma che aveva scoperto che era anche buono. Bastava solo guardarlo meglio e cambiare punto di vista. Angelica, la sua mamma, Tereza, le avevano insegnato che l’importante è volersi bene. Volando, con tutte le forze che aveva, entrò nel computer con la chiave magica, e arrivò, giusto in tempo, per ascoltare la fiaba che Silvia, la bambina dai capelli rossi come una criniera, aveva scritto per lei.

«C’era una volta la formichina Pierina. Aveva lavorato, senza sosta, tutta l’estate per accumulare le provviste. Ora, stava giocando a scansare le foglie che cadevano dalla grande quercia, dove aveva la tana. Il picchio Girolamo, intanto, finiva di fare i buchi. Lì, incasellava un gran numero di ghiande.  Col suo “Tic-tic” era rumoroso, sì, ma, poiché si affaccendava al pari della formichina, erano diventati amici. Amici? Una formica e un picchio? Ma se il picchio mangia le formiche! Di solito sì, ha la lingua appiccicosa per questo. Ma Girolamo, no. A lui, le formiche erano simpatiche. Anche lui, lo era, eh, con quei mustacchi neri sulle piume verdi brillanti. Però, iniziava a sentirsi un po’ triste.  Le ghiande stavano per finire e, senza niente da fare, proprio non ci poteva stare! Formichina Pierina se ne accorse.

Smise di giocare con le foglie e gli disse: «Ehi, Girolamo, che ne diresti di tenerci compagnia durante l’inverno?»                                                                   Il picchio, scuotendo la cresta, rispose: «E come? Io non posso entrare nella tua tana, vivo nella vecchia quercia, e, poi, mi vedi, sono così ingombrante».                                                                                                                                                                                                                                                    La formichina sorrise. «Uscirò io e ti racconterò una favola. E, il giorno di Natale, ne avrai una tutta, tutta, tutta per te, insieme al chicco di grano che avevo tenuto per me».

«Sei gentile, ti ascolterò volentieri» rispose Girolamo.                                                                                                                                                                               «Io, per ricambiare, avrò cura di togliere la neve davanti alla tua porta. Sì, sarà un Natale davvero speciale. Perché abbiamo capito che non serve essere uguali per essere amici!»  A quelle parole, la formichina drizzò ben bene le antenne per fargli capire che, ok,  era d’accordo.

Buonanotte picchio verde.  Buonanotte, formichina.

 

 7 dicembre                    LA FORMICHINA CANTASTORIE 

C’era una volta una formichina, era nera e magrolina. Era una formichina operaia. Con le mandibole, trasportava tutto ciò che poteva servire per l’inverno.  Formichina Pierina – questo era il suo nome –  era nata nella fiaba della piccola  Silvia dai capelli rossi, e aveva un picchio come amico. Un picchio? Ma se lui vola e lei sta sottoterra! Appunto, meglio se si è diversi, ci sono più cose di cui parlare, no?  Beh! Formichina viveva nella galleria scavata con tanto amore con quattro figlie. C’era la formica dormigliona, quella che voleva stare sempre sola, quella brontolona, e quella diversa da tutte, un po’ più grande di una formica operaia e un po’ più piccola di una formica soldato. Quando si metteva in fila con le operaie, si inciampava e le faceva cadere. Tutte si arrabbiavano, ma mamma formichina le diceva che era giusta così. Lei era una cantastorie e sapeva tutto il bello delle formiche. Come sempre, dopo cena, tutte le operaie si radunavano per ascoltare le storie, mentre il vento soffiava forte. Quella sera, però, Formichina, pensava al suo amico picchio, tutto solo, al freddo, là fuori. Presto sarebbe arrivato  Natale, e lei voleva aiutare chi aveva bisogno. Perché a Natale si fa così, ci si vuole un po’più bene di sempre, no? Allora, svelta, svelta, mise il cappotto più pesante che aveva e gli aprì la porticina, in modo che, anche lui, potesse ascoltare la fiaba. Seduta sul sassolino, gambette accavallate, antenne dritte, cominciò a leggerla da un librone più grande di lei.

«Tanto tempo fa, verso il 2020, gli alberi venivano abbattuti da uomini e fulmini oppure qualcuno dava loro fuoco apposta. Gli animali non sapevano dove trovare rifugio.  Le cicale si nascondevano per lo spavento. Non pareva più nemmeno estate.

«Che fine ha fatto il sole?», si chiedevano le coccinelle.

I grilli erano nervosi e le mantidi? Ah, molto malinconiche! Un giorno, il grillo più anziano disse: «Il Signore del bosco vuol farci capire quanto sia preziosa e importante la Natura».

«Cosa possiamo fare?» ribattè, spaventata, una cicala di passaggio.

«Aiutarci e restare uniti nei momenti difficili. Formiche, contate pure su di noi» disse la mantide dall’alto di una margherita. Pian piano, nel mondo degli insetti regnò l’armonia e tornò il sole dell’estate.

Il più anziano dei grilli, tutto soddisfatto, sentenziò: «Il Signore del bosco ha gradito quanto abbiamo fatto. Siii, l’unione fa la forzaaaaa!»

Formichina, con le antenne dritte come stuzzicadenti, pensava la stessa cosa. «Uno per tutti, tutti per uno» era la sua frase magica.  E, a Natale, un pochino di più!  Sei d’accordo anche tu?   Buonanotte

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  8 dicembre      MARIA di NAZARETH   

 

Era l’8 dicembre e Gabriele era molto, molto agitato. Di sicuro, quello era l’incarico più importante che gli fosse mai stato affidato. Tra tutti gli angeli, era stato scelto proprio lui per andare da una ragazza, una certa Maria, almeno così aveva capito. Di sicuro era importante, forse una principessa che viveva in un bellissimo castello. Gabriele aveva ripassato la filastrocca di parole gentili, talmente tante volte che, sì, sì, la sapeva bene. Per sicurezza, aveva fatto controllare le ali e provato l’inchino, dietro a una nuvola di passaggio.

Così, giusto per non sfigurare! Quando si sentì pronto, frrrrr, con un frullar d’ali, scese sulla terra e, con un buffo capitombolo, cadde proprio davanti alla casa di Maria. Ma come… si aspettava un castello o, almeno, un palazzo. Era un’umile casetta bianca, invece. Si alzò, svelto svelto, dopo il ruzzolone, si sbattè la sabbia dalle mani e diede una sistematina all’alone di luce, che si era tutto stropicciato. “Gabriele, Gabriele, hai sbagliato. Una principessa non abita certo qui ” disse, fra sé e sé.                                                                                                                                                                               Passava di lì una donna con una brocca sulla testa: «Scusi, signora, sa, per caso, dove abita Maria di Nazareth».                                                              «Certo che sì. Ci sei davanti» rispose. Si guardò in giro… qualcuno stava ancora ridendo del suo capitombolo! Si aggiustò ben bene le ali e bussò alla porticina. Una bella ragazzina con gli occhi di cielo e la pelle di luna, gli aprì.

«Buongiorno» salutò Gabriele, un po’ impacciato.  «Cerco Maria di Nazareth. La conosce, per caso?»                                                                                  «Sono io» rispose la ragazza.                                                                                                                                                                                                                             «Io cerco Maria di Nazareth, futura moglie di Giuseppe, discendente di re David».                                                                                                                            «Mi creda, sono proprio io», gli ripetè, aprendogli del tutto la porta, per farlo entrare. Un angelo in casa sua? E perché cercare proprio lei? Maria pensava a tutte queste cose, quando Gabriele, dopo aver schiarito la voce, le fece l’annuncio. Lo aveva provato  tante volte e, ora,  lo sapeva  a memoria: «Ti saluto, Maria. Sono qui per farti il regalo più stupendo di tutti i regali».                                                                                                                     «Non capisco, mi scusi» rispose, sottovoce, Maria.                                                                                                                                                                                     «Non avere paura» aggiunse Gabriele, prendendo coraggio.                                                                                                                                                                   «Tu e Giuseppe avrete un bambino e lo chiamerete Gesù. Sarà un re e il suo regno non finirà mai, perché l’amore dura per sempre».                               «Com’è possibile?»                                                                                                                                                                                                                                            «Nulla è impossibile a Dio» concluse Gabriele, tutto soddisfatto.  Poi, le regalò un sorriso che sapeva di pace. Maria gli rispose con un sorriso di fiducia.                                                                                                                                                                                                                                                             «Eccomi, sono felice» gli disse Maria, mettendosi a fare piroette, là, nella sua piccola casa bianca. Gabriele uscì, volando di felicità.  Buonanotte.

 

 9  dicembre   IL PAESE DELLE PAROLE   

Fata Pierina aveva ricevuto una notizia strepitosa, favolosa, sbarluccicosa.  Quel giorno di dicembre, una bambina nuova di zecca, aveva scelto di atterrare nello strambo mondo del 2020. Proprio come aveva fatto Gesù, duemila anni prima, nascendo in una stalla, il giorno di Natale. Oh, sì, è proprio vero! Ma, ma, chi era quella bambina? Il suo nome era Anastasia, ed era arrivata in un lampo, anzi, no, in un nanosecondo velocissimo, per dire a tutti che non è mai il momento per essere tristi. Se arriva, quel momento, basta mandarlo via e…

Vieni con me, ti canterò, la canzone della felicità, bom bom bom. Sbatti le ali, muovi le antenne, dammi le tue manine, vola di qua, vola di là, è la canzone della felicità”.

Anastasia era arrivata, così, cantando e con un dono per Fata Pierina. Era di carta velina. Glielo diede e, appena lo ebbe in mano, si ingrandì, si ingrossò, e… si trasformò…  in un libro, con la chiave d’oro e un biglietto, scritto a computer: dalla Scuola di Scrittura. Sulla copertina, gialla, c’era disegnato il “Paese delle parole”. Il paese delle parole? Ma cosa voleva dire? Non è che, per caso, avrebbe dovuto andarci? Eh, no!  Mancava poco a Natale e lei voleva tornare a casa sua.  E poi, scusa, le parole mica sono case, strade, negozi, mica si mangiano.  Curiosa com’era, lo aprì. E, subito, capì che, quello, era un libro magico. Dentro, c’erano le fiabe dei bambini che studiavano nel computer. Quelle con un dono dentro, un dono che non si può comprare! Che ridere… non doveva andarci, era già lì. Il paese delle parole era pieno di… parole. E che altro avrebbe dovuto avere?  La prima storia era quella di Silvia, la bambina dalla chioma scura.

La lesse in un zac, e diceva così: «Nel paese delle parole vivono animali chiacchieroni. Notte e giorno, si sente discutere degli argomenti più disparati. Ma, nel punto più alto, li, sulla montagna degli stambecchi, i discorsi ruotano sempre intorno alla regina delle parole. Se riesci ad arrivare li, in cima, puoi deliziarti, ascoltando quel che si racconta della regina Pierina, artigiana di ricami pregiati, intessuti di frasi divertenti, curiose e, a volte, irriverenti. Rimarrei per ore ad ascoltare le sue parole e quelle degli stambecchi innamorati dei suoi scritti, densi di giocosità e speranza. Beati gli abitanti del paese delle parole. Magari ne fossero pieni i parlamenti, i paesi del mondo di qui, di regine così».

Beh, a essere regina non ci aveva mai pensato ma, quello era il dono di Natale di Silvia, e, allora, sì, per lei, si sarebbe messa la corona.

Vieni con me, ti canterò, la canzone della felicità, bom bom bom”.  Buonanotte

 

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 10 dicembre      LA CAGNOLINA ABBANDONATA 
Fata Pierina si era persa. Lei, che avrebbe voluto raddrizzare il mondo strambo e dargli una fetta di felicità, sì, si era proprio persa. Si sentiva sola, col suo vestito rosso, così leggero per il mese di dicembre. Chi l’avrebbe mai considerata, una così, che va in giro con una valigia di cartone a raccontare fiabe, a pochi giorni dal Natale!Non interessavano o non piacevano o, forse, le fiabe, erano inutili. A cosa servivano, infatti,  se, sotto la mascherina, le signore non mettevano più il rossetto né le scarpe della festa, se tutti stavano sempre davanti alla tivù a controllare se erano gialli, arancioni o rossi o ad ascoltare i paroloni dei professoroni? Perfino i sorrisi e gli abbracci erano emigrati o, forse, si erano nascosti nelle cantine buie, quelle dei castighi di una volta.Una lacrima, salata e calda, le stava spuntando negli occhi, quando sentì: “Vieni con me, ti canterò, la canzone della felicità, bom bom bom. Sbatti le ali, muovi le antenne, dammi le tue manine, vola di qua, e vola di là, è la canzone della felicità”. Ma, ma, era la canzone di Anastasia, la bambina che le aveva regalato il “Paese delle parole”, il libro dove lei era la regina. Sìììì… aveva i doni dei  bambini  della scuola di Scrittura: aveva le ali, la saggezza, le parole!  No, Fata Pierina, non era sola! Dentro a quel libro, c’erano amici, doni e… altre fiabe da leggere.La prima era la fiaba di Marvi, la bambina col berretto e la sciarpa bianca e rosa, che iniziava così: «C’era una volta una cagnolina. Il suo padroncino l’aveva chiamata Pierina ma, poi, quando si era stufato, l’aveva abbandonata, sulla strada, così, da un momento all’altro. Ruote impazzite la sfioravano, vrrmmmm, vrmmm, vrrmmm. Quanta paura aveva! A un tratto, si sentì afferrare da una zampa calda e forte. Era quella di una mamma canina, che la portò con sé, nel suo nascondiglio.Là, con gesti amorevoli, la accomodò tra le sue zampe,  le diede  un bacio sulla fronte e la cullò, facendole ricordare dolci sensazioni, ormai dimenticate. “Com’è bella una carezza, un pensiero per me” pensava cagnolina Pierina, guardando le stelle, in cerca di sogni da raggiungere e con una luce diversa negli occhi. La mamma se ne prese cura come fosse sua figlia, procurandole cibo e affetto a dismisura.                                                               La cagnolina si rendeva conto della meravigliosa famiglia che aveva intorno, sapeva di poter contare, nei momenti di sconforto o di gioia, su di lei.  La cagnolina era felice, si sentiva amata, ben voluta e accettata dai suoi simili.                                                                                                                                      Non  era più  quell’essere abbandonato e solo, tantomeno a Natale. “Vieni con me, ti canterò, la canzone della felicità, bom bom bom”.                            Presto, sarebbe stato Natale! Buonanotte.                                           
11 dicembre        LA MACCHINA DEGLI ABBRACCI                                                                                                                   

“Vieni con me, ti porterò”… A  fata Pierina, piaceva talmente tanto quella canzone che, non riusciva proprio a non cantarla. Le piaceva l’accento sulla a, la a di Felicità!  Che faceva rima con città, marajà, di qua, di là. Dopotutto, era nel paese delle parole, cosa importava se era solo un libro. A proposito, dove l’aveva messo? Ma, sì,  nella valingira, dove sennò! Fata Pierina lo prese, con garbo, lo aprì e…«C’era una volta un bel posto di montagna, con un laghetto, e tanti alberi dalle foglie verdi smeraldo, e succosi frutti rossi. Là, una nonna dagli occhi dolci, con i suoi sei nipotini, raccoglieva more, canticchiando». Ma, a questa era la fiaba che Caterina, la bambina che c’era e poi spariva con il signor internet, a scuola di Scrittura, aveva scritto per lei. Fata Pierina, curiosa, continuò a leggere.«I ragazzini ponevano i frutti nei cestini che avevano portato da casa. Tra le foglie, però, vi erano delle piccole more che non attiravano la loro attenzione.  Per questo, nessuno le coglieva.  «Sono piccole e brutte, non ci piacciono» dicevano i nipotini, con fare imbronciato. La loro nonna, invece, le raccolse davanti ai loro occhietti stupiti. Si sedette a terra e gliele fece assaggiare.                                                                                                       «Allora? Come sono?»                                                                                                                                                                                                                                     «Sono buonissime!»                                                                                                                                                                                                                                       «Non bisogna mai fermarsi all’apparenza. Le more brutte sono le più buone. Le useremo per fare una dolcissima  marmellata. La assaggeremo il giorno di Natale, tutti insieme».                                                                                                                                                                                                                        «Sii, e poi faremo un video e lo metteremo su TikTok» dissero i nipotini, abbracciandola forte forte.«Eh, sempre a pensare a quelle cose lì, voi», rispose la nonna, sorridendo sotto ai baffi che non aveva. I suoi nipoti erano nativi digitali, mica come lei che, alla loro età, non aveva nemmeno la tivù o il telefono, figuriamoci TikTok. Eppure, loro, anche se giocavano con Mycraft o Brawl Stars, avevano capito, e molto bene,  quanto lei li amasse. Per questo, si misero d’accordo per farle un dono davvero speciale per Natale. Un dono che non si potesse comprare in alcun negozio né ordinare su internet, naturalmente. Pensa che ti pensa, un cartellone rosso fiammante diventò il calendario dei turni degli abbracci: accanto alla data, ognuno scrisse il proprio nome.Così, ogni giorno dell’anno seguente, quel nipote sarebbe andato a farle visita, l’avrebbe abbracciata forte forte, e lei non si sarebbe sentita mai, mai, sola. Quei sei nipoti avevano inventato una macchina degli abbracci che non aveva bisogno dell’elettricità ma solo dell’amore. E loro ne avevano tanto!  Buonanotte.

 12 dicembre                      LA NOTTE DI SANTA LUCIA  

Lo sai, che la sera del 12 dicembre bisogna andare a nanna molto presto? È una notte magica. Dal cielo, arriva Santa Lucia, su un carretto carico di doni, trainato da un asinello. I doni sono poveri, come mandarini, bagigi, caramelle e lei li porta ai bambini gentili.  A quelli monelli, invece, lascia carbone, ma dolce. Sia lei che il suo amico asinello gradiscono molto il cibo lasciato fuori dalla porta o sulla finestra. Va bene un piatto di minestra, un po’ di pane, un mandarino, un biscotto e, perché no, un po’ di latte.

L’asinello, invece, è ghiotto di carote o fieno ma, se non c’è, si accontenta di un po’ d’acqua. È un viaggio lunghissimo, il loro, e dura tutta la notte, e solo una volta all’anno. Per questo, la notte di S.Lucia è la più lunga che ci sia. Così, lei e l’asinello,  hanno tutto il tempo per consegnare i doni. 

La vuoi sapere la loro storia?  Tanto, tanto tempo fa, alla fine del 200 d.C, a Siracusa, in Sicilia, viveva una bella ragazza, di nome Lucia. I suoi occhi avevano il colore del cielo di giorno ed era stata promessa a un signorotto che voleva sposarla, ma  subito. Così, un giorno, mandò i suoi soldati a casa di Lucia. Bussarono alla sua porta e le urlarono: «Apri, Lucia. Il nostro padrone ci ha ordinato di portarti nel suo palazzo. Subito. Lascia tutto e vieni con noi». Lucia, per nulla spaventata, rispose che non ne aveva alcuna intenzione.                                                                                                                         Non lo avrebbe sposato. Mai.                                                                                                                                                                                                                         Lei voleva diventare cristiana. I soldati, intanto, tornarono dal loro padrone, riferirono il messaggio di Lucia.                                                                      «Toglietele gli occhi, allora» ordinò ai soldati che tornarono da lei, le riferirono, parola per parola, ciò che lui aveva ordinato loro.                                    Ma lei rispose: «Va bene».                                                                                                                                                                                                                             Cosìfecero.                                                                                                                                                                                                                                                             Lei rimase cieca, ma felice di poter sposare Gesù che, in cambio di un così grande sacrificio, le disse: «Tu, che hai rinunciato ai tuoi bellissimi occhi per me, avrai  in dono una notte all’anno in cui  porterai i doni ai bambini di tutto il mondo. Questo è il mio grazie».                                                            «Come potrò portare i doni se sono cieca? Non riuscirò nemmeno a vedere la strada del cielo».                                                                                                                                                                                                                                                                    E Gesù: «Non preoccuparti, Lucia. Ti farò accompagnare da un asinello magico. Gli asini conoscono benissimo le strade. Basta che le percorrano una sola volta per ricordarle, sempre. Gli asini, contrariamente a quanto si creda, sono molto intelligenti».

Lucia, allora, disse «Sì» e, da quel lontano tempo, la notte del 12 dicembre, dall’alto, lei vede le case dei bambini. Li conosce molto bene. Ma, attenzione, non si ferma se vede la luce accesa!  Buonanotte.

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13 dicembre                                   IL CAVALLO E LA LUNA 

Chi avrà appeso la luna lassù, lo sai, forse, tu? A volte è magra, altre grassa, a falce, a culla, con certi occhi che sembrano curiosare nei tuoi pensieri. Ma come fa? Fatto sta che quella sera di dicembre, a pochi giorni dal Natale, Fata Pierina approfittava della luce della luna per leggere una nuova fiaba. Gliel’aveva data in dono Sara, la bambina col serpente di peluche, alla scuola di scrittura.

«C’era una volta un cavallo: bello, giovane, nero. Viveva libero, in un branco molto numeroso. Era, ormai, arrivato il momento di scegliere una compagna, ma non riusciva a decidersi.                                                                                                                                                                                                  «Ooohh, non cambia mai. Sempre a guardare la luna, una polenta gialla che sta lassù, nel cielo. Tutta la notte, poi!» ripeteva Rubacuori, suo padre.  Aveva ragione: il bel cavallo nero era proprio un sognatore. Già da piccolo, amava galoppare veloce, fin lassù, sull’altura, ad ammirare la luna. La amava. Si capiva da come la guardava, da come la aspettava, da come tornava al branco, al mattino, tutto mogio perché non la vedeva più. Sua madre, con pazienza, gli ripeteva che, un giorno o l’altro, sì, la luna gli avrebbe risposto.  Ma dai, come fa un cavallo a sposare la luna?  Intanto, aveva iniziato a portarle dei piccoli doni, come si fa a Natale: un fiore, una foglia particolare, un ramo con una forma strana, pietre di fiume color giallo luna. Lei stava sempre lassù, ferma, la suo posto, ma sembrava apprezzarli. Anzi, a poco a poco, sembrava, addirittura, avvicinarsi alla terra, con i grandi occhi aperti. Una sera, andando a cercare un dono speciale da portare alla luna, il cavallo nero ritardò: non era riuscito a trovare alcunché. Il cielo era una coperta di carbone. Solo qualche stella lo illuminava con puntini d’oro.                                                                                                                                                  “Ti prego, Luna, fatti vedere. Non lasciarmi così”, pensava, affranto. Stette, fermo, là, tutta la notte.  E aspettò, invano. Era, ormai, l’alba quando decise di tornare al branco. Si girò, mesto, e fu in quel momento che la vide: una splendida giumenta colore della luna lo stava aspettando.  Non credendo ai suoi occhi, si avvicinò, titubante, e le chiese: «Sei, proprio, tu?».                                                                                                                                   La cavalla nitrí, annuendo.   “Sì , sono la tua Luna. Non ti lascerò. mai”.                                                                                                                                                 E si avviarono verso il branco.  E, per tanto, tanto tempo,vissero insieme, felici. La luna, però, dovette tornare in cielo, per illuminare il mondo di notte. Ma, due giorni ogni mese scompare. Sai perché?                                                                                                                                                                         Ritorna sulla terra per galoppare con il suo unico amore: il bellissimo cavallo nero!    Buonanotte.

 14 dicembre                               STELLINA

Ma quanti doni aveva ricevuto fata Pierina! Non ci poteva credere. Caspitina, aveva le ali, le antenne, l’amicizia, le parole, la famiglia, gli abbracci, l’amore. Ah, era troppo, troppo anche per una fata! Doveva trovare qualcuno a cui donare qualcosa, anche tutto. Sì, va bene, ma a chi?                         “Mi siedo qua, e aspetto” pensò.                                                                                                                                                                                                                   Era ormai notte, il cielo era una tovaglia blu, con tanti puntini d’oro e la luna. Fata Pierina la sentì dire: «Venite qui, mie piccole stelle. Vi racconto la storia della stella di Natale». Alla fine del racconto, le stelline le chiesero: «Mamma, quella stella brilla sempre, anche se non la vediamo?»           «Certo, brilla nel cuore degli uomini».                                                                                                                                                                                                       Stellina più piccola, disse: «Sono triste, mamma. Vorrei anche io brillare per qualcuno, come la stella della tua storia».                                                      «Allora, per te, è arrivato il momento di attraversare il sentiero dei desideri».                                                                                                                              «Cos’è?»                                                                                                                                                                                                                                                      Mamma Luna non rispose, ma la portò davanti a una grande porta e la aprì. «Vai, vai, verso quella luce. Là, troverai il cuore a cui appartieni».  Stellina aveva paura. Era la prima volta che andava in viaggio da sola. Ma si fece coraggio. Si incamminò lungo il sentiero e, quando arrivò alla luce, si trovò in un negozio di giocattoli, appesa a una fila di stelle colorate. Vide entrare un bambino con la sua mamma.                                                               “Voglio essere la sua stella” pensò, ma lui non la vedeva.                                                                                                                                                                   “Dai, dai, guarda me” pensava, tremando di paura di non essere vista.                                                                                                                                             Invece, all’improvviso, il bambino esclamò: «Mamma, mamma, mi piace quella stella lì».                                                                                                              Sììì, aveva scelto proprio lei. La vigilia di Natale, venne appesa insieme agli altri addobbi sull’albero, ma il bambino decise che, no, lei sarebbe andata in alto, sulla punta. La stellina, felice, faceva più luce che poteva mentre, da fuori, mamma Luna la salutava. Ci fu la festa di Natale, con tanti doni, tanta gente. Poi, silenzio. Le luci furono spente e l’albero rimase solo e al buio nel salone. Tutti parlavano a bassa voce per non far rumore: quel bambino si era ammalato. Ma, una sera, la mamma entrò nel salone,  salì sulla scala, staccò la stellina e la portò nella camera del suo bambino.         «Era questa che volevi, tesoro?» gli chiese. Il piccolo se la strinse al cuore e si addormentò, sereno. Il mattino dopo si svegliò, sorridente. Era guarito. E, da quel giorno, Stellina rimase accanto al letto del suo piccolo amico. Solamente a Natale, tornava a brillare sulla punta dell’albero, donando gioia a tutti.  Buonanotte.

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 15 dicembre                              L’OMINO DELLA LUCE

Oreste era un felice lampionaio. Accendeva e spegneva i lampioni a gas delle strade del suo paese.

Ogni sera, quando saliva il buio, Oreste usciva fischiettando.

Con tanta pazienza, ma anche tanta gioia, faceva il giro dei lampioni di tutte le strade, ripetendo ogni sera e ogni mattina lo stesso percorso, per accenderli e spegnerli.

Finiva il giro proprio con il piccolo lampione, che stava di fronte alla sua casa. Allora, si voltava e guardava più oltre che poteva, felice di vedere le finestre delle case illuminate dalle candele, immaginando la gente che cenava o giocava a carte.

Poi, rientrava a casa, soddisfatto.

Così, Oreste fece per quasi tutta la sua vita.

Ma, un giorno, successe una cosa molto, molto strana, una cosa moderna, una cosa che gli avrebbe tolto il lavoro, che gli piaceva così tanto: arrivò la corrente elettrica.

I lampioni vennero sostituiti dalle lampadine e Oreste non serviva più a niente e a nessuno.   Le luci si accendevano da sole! E vennero messe anche dove il buio sarebbe stato molto più bello. Perfino i fantasmi dovettero andare in pensione anticipata.

La gente, a poco a poco, smise di sognare perché, si sa, i sogni belli vengono quando c’è il buio o la luce di una candela, o di un lampione.

Le stelle, per la tristezza, fecero come Oreste. Pian piano si spensero da sole, una dopo l’altra. Una notte di quasi inverno, il vento soffiava forte forte e portava lontano le ultime foglie.

Oreste sentì una voce che lo chiamava: «Oreste, Oreste, ascoltami».

«Chi sei?» chiese con il cuore in gola.

«Non temere, Oreste. Tra pochi giorni nascerà mio figlio. Vorrei festeggiarlo con un cielo pieno di stelle, ma ho bisogno del tuo aiuto. Vai in giro per il mondo, tra gli uomini e, ogni volta che troverai qualcosa di buono, io ti darò il potere di salire in cielo e accendere una stella».

Oreste capì. All’alba partì e, per collane di giorni, girò il mondo, osservando la gente e trovando tante cose buone. Una gentilezza, un sorriso, un aiuto. Notte dopo notte, accese le stelle sul velluto scuro del cielo.

In quella notte speciale, un’infinità di stelle, come fiocchi di luce ondeggianti, punteggiava il buio.

Oreste si voltò e le guardò, contentissimo.  Ancora una volta, per una magica notte, si sentì l’omino della luce. Era la notte di Natale. E ogni stella, per ringraziarlo, cantava per lui…

 

“Ninna oh! Ninna oh! La mia luce io ti do, così tu mi accenderai  e l’omino dei sogni sarai.”                   Buonanotte

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 16 dicembre                        SIGNOR TOPO

Attraverso il buchino del muro, un topolino guardava il contadino e la moglie mentre stavano aprendo un pacchetto. Siccome mancava poco a Natale, pensava ci fosse un dono per lui. Invece, rimase sconvolto nel vedere che era una trappola per topi.
Di corsa, fece il giro della fattoria, avvisando tutti: «C’è la trappola per topi in casa! C’è la trappola per topi in casa!»                                                              Il pollo alzò la testa e disse: «Caro signor Topo, capisco che sia una cosa grave per te, ma non mi riguarda».                                                                           Allora, il topolino andò dal maiale: «C’è la trappola per topi in casa! C’è la trappola per topi in casa!»                                                                                         Il maiale, gli rispose: «Mi dispiace molto, signor Topo, ma non c’è nulla che io possa fare. Ah, sì, sì, posso pregare per te».                                                   Il topolino corse, più veloce che poteva, dalla mucca: « Attenta, c’è la trappola per topi in casa! C’è la trappola per topi in casa!»                                       La mucca, però, tranquillamente, sospirò: «Ohh… caro signor Topo, mi dispiace per te, ma a me non disturba affatto!»                                                      Mogio mogio, il topolino tornò in casa. Aveva capito di essere solo ad affrontare la terribile trappola. Quella sera, si accucciò, ma non dormì. Durante la notte, uno strano rumore echeggiò per la casa, come quello di una trappola che afferra la sua preda.                                                                                        La moglie del contadino si alzò, e andò a vedere se il topo fosse stato preso. Ma, non si accorse che era un serpente velenoso con la coda bloccata nella trappola. Il serpente la morsicò e a lei venne la febbre alta, altissima.  Per curarla, ci voleva una zuppa di pollo fresco. Così, il contadino, con il suo coltellaccio, andò a cercare il pollo. La moglie, però, non guariva e tanti amici vennero a trovarla. La casa era piena e, per offrire pranzi e cene a tutti, il contadino dovette macellare prima il maiale e poi la mucca. Intanto, il topolino, dal buchino del muro, guardava tutta quella confusione, sentiva anche grande tristezza.
Era dispiaciuto per il pollo, il maiale e la mucca che si credevano al sicuro, solo perché erano più grandi di lui e nella trappola non ci sarebbero potuti entrare. Lui, invece, il più piccolo e l’unico che si era preoccupato degli altri, stava bene, anzi, benissimo. Non aveva più paura della trappola, perché aveva imparato a starne alla larga.
Ma era solo, e questo non gli piaceva mica tanto. Così, cominciò ad andare in giro, sicuro che avrebbe trovato buoni amici con cui festeggiare il Natale. Forse, lui e fata Pierina, un giorno, si sarebbero incontrati e, perché no, presi cura, uno dell’altra.                                                                                               A Natale, anche le fiabe si avverano! Buonanotte.

 17 dicembre                       BABBO NATALE, QUELLO VERO

Gran pancione e grosso vocione. Vestito rosso e tondo faccione. Occhialini e barba bianca, di aspettarlo, mai ci si stanca. Ma la domanda è: sarà stato anche lui un bambino? Una volta, tanto, tanto tempo fa? Sììì, e si chiamava Nicola. Era nato in Turchia, in una famiglia molto ricca. Fin da quando era piccolo piccolo, tutto ciò che aveva, lo donava. Quando divenne adulto, andò a vivere a Mira, una grande città. Lì, fu nominato vescovo. Per tutta la vita fece del bene, soprattutto ai bambini. A lui piacevano così tanto! Quando divenne importante, addirittura santo, gli fu chiesto di proteggerli. Ecco perché i piccoli gli scrivevano letterine e gli  chiedevano dolcetti e doni per Natale! Proprio per questo, diventò famoso in tutto il mondo. Quando era vescovo, Nicola o Klaus, ordinava ai suoi aiutanti di andare a trovare i bambini che non potevano uscire, perché, in quel paese, faceva troppo freddo. «E portate loro qualcosa, eh!» suggeriva, sottovoce. Loro obbedivano e, con addosso soprabiti rossi, si spostavano con le slitte trainate da cani, e un sacco colmo di regali.  Ecco perché il vestito di Babbo Natale è rosso! Una cosa è certissima, però! Ogni anno, durante la notte di Natale, fa il giro del mondo con la sua magica slitta ed entra nelle case di tutti i bambini per distribuire doni. Ma, tu, lo sai dove vive? Al Polo Nord, in un palazzo in mezzo a un bosco. Ma mica sta da solo, laggiù! Noo, con lui ci sono tanti simpatici Elfi, che lo aiutano a raccogliere le letterine dei bambini, a confezionare i doni, a decorare la slitta. Pensa, ci mettono almeno mille campanelle, perché si deve sentire da lontano quando passa! A trainarla ci pensano otto renne, con Rudolf dal naso rosso prima di tutte. Il suo naso fa da navigatore e illumina la strada del cielo. Mica ci sono le lampadine, lassù!  Ma, prima di partire c’è talmente tanto lavoro che ogni elfo ha un compito giustopreciso. Tra tutti, però, i più coccolati sono gli elfi pasticceri che preparano torte, caramelle, cioccolatini per riscaldare le lunghe e fredde giornate e far contenti i pancini. Babbo Natale, infatti, è ghiotto di cioccolata calda mentre legge le letterine che gli arrivano da tutto il mondo. Le legge tutte, eh! Sta seduto su una scrivania di legno, tutta decorata, dove tiene una lista luuuunghissima di nomi di bambini buoni e una, corta, di quelli monelli. Ah, sì, ha anche un calendario dove segna i giorni che mancano a Natale e un orologio a pendolo che sta bene attento a fare i giusti Tic-Tac. Babbo natale non si può mica permettere di arrivare tardi! Quando è tutto a posto, eccolo che parte, sfreccia nel cielo illuminato di stelle, lasciando dietro di sé una scia di polvere dorata. Sìììì, è proprio lui, Babbo Natale, quello verooooo!    Buonanotte.

 18 dicembre                            TEMPI MODERNI PER BABBO NATALE

Dello strambo mondo del 2020 – anche se già da qualche anno se n’era accorto – Babbo Natale ci capiva poco o niente. Dei bambini, dei loro desideri, delle loro letterine, ancora meno. Quel mattino di dicembre, seduto alla sua scrivania, si mise a leggerle. Faceva così ogni anno. Ma, aperta la prima letterina – roba che non gli venisse un colpo – Babbo Natale lesse:  “Caro Babbo Natale, so che non esisti. Ti scrivo perché non si sa mai… Guarda che io aspetto il Nintendo ultimo modello, quello con schermo e bottoni. Non sbagliare, però, eh! E, già che ci sei, aggiungi la Just Dance per mia sorella, così balla e non rompe”. Il povero Babbo Natale fece un balzo sulla sedia. In tanti secoli, non gli era mai capitato di leggere una cosa simile.  Quel bambino non credeva in lui. E le altre letterine?  Di male in peggio.  Chiedevano,  Playstation,  Wee,  Braul Stars, Cresh Royal, Nerf, Fornite, cuscini delle anime giapponesi, e, perfino, la macchina per diventare invisibile a scuola, quando… quando non si ha studiato. “No, no, no, no, no” – brontolava tra sé e sé. Aveva aspettato tutto l’anno questi giorni prima di Natale per consegnare i suoi doni, e adesso era tutto inutile. Nessuno aveva sogni da raccontargli o speranze da affidargli. I bambini gli scrivevano solo per ordinare la consegna di giocattoli, come se lui fosse un catalogo o il Centro Commerciale di Spendoben City.  Un bambino di sette anni gli chiedeva, addirittura, un robot che fa le salsicce. “Ha fantasia, non c’è che dire” pensò “ma i miei Elfi sanno fabbricare trenini, bambole, peluche, mattoncini colorati, sì, anche libri, dama, scacchi, ma non queste cose.” “Bof Bof Bof, questa poi!” scattò in piedi, leggendo la richiesta di avere a casa un cantante. Uno in carne e ossa? E con quel nome lì,poi? Harry Stiles? Dopo diverse ore di lettura, mentre fuori calava il buio, i suoi occhi si riempirono di tristezza, leggendo:  “Mi dispiace per te. È complicato, lo so. Ma, sai, i tempi sono moderni”. «C’è qualcosa che sbuca dalla tua tasca» gli disse Elfo cameriere, con una tazza di cioccolata fumante in mano. Era una letterina ancora chiusa. Babbo Natale non l’aveva vista, impegnato com’era a leggere tutte le altre. Ancora sconsolato, la aprì, e iniziò a leggere: “Caro Babbo Natale, a me basterebbe che tu venissi a trovarmi. Anche solo per pochi minuti. Non serve che mi porti regali. Io, ti aspetto fiducioso”. In un nanosecondo era in piedi. «Renne, siete pronte? Presto sarà Natale. Sulla terra ci stanno aspettandoooooo».       Buonanotte

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19 dicembre  L’OROLOGIO CHE LEGGEVA NEI PENSIERI

Mattia scrisse a Babbo Natale per chiedere in regalo un violino nuovo.

La lettera arrivò, ma finì nelle mani dello gnometto Balocco, simpatico ma pasticcione. Infatti, spedì il violino di Mattia  a  un altro bambino, e a Mattia arrivò uno strano orologio da polso. A casa di Mattia  i regali erano già sotto l’albero. Mamma e papà gli avevano regalato un nuovo violino… Se il violino era stato comprato dai suoi genitori, cosa aveva mai portato Babbo Natale?  «Un orologio? Veramente, gli avevo chiesto un violino, ma mi va bene  anche questo.   Strano, però: sembra che cambi colore a seconda della luce».   Il pomeriggio, Mattia andò al parco, ma incontrò due suoi compagni di classe. «Secchione!» gli gridarono.  Mattia cambiò strada, ma i due lo seguirono.  «Cosa hai chiesto a Babbo Natale, secchione? » «Un violino».

«Un violino? Roba da femminucce».   Mattia stava scappando a casa, quando si sentì chiamare dalla signora del negozio di strumenti musicali: «Mattia, devo chiederti un favore. Potresti suonare i miei violini? Così, questi signori potranno scegliere quello più adatto a loro figlio».  Mattia disse di sì, e subito iniziò a suonare. si formò una piccola folla, ammirata.

Mattia si accorse che c’erano anche quelli che lo prendevano in giro e, appena finito di suonare, scappò a casa.

La mamma capì subito, e gli chiese:   «E ti hanno chiamato secchione, vero, e femminuccia?»

«Si». «Beh, che tu ci creda o no, io ti dico che quei due pagherebbero oro per avere le qualità che hai tu!»  In quell’istante l’orologio al polso di Mattia si colorò di un azzurro intenso e, al posto dei numeri e delle lancette, si leggeva:  «Tua mamma ha ragione». L’orologio leggeva nei pensieri?

Mattia ebbe un’idea. Tornò al parco, dove sapeva che c’erano sempre quei due.  Girato l’angolo, li vide, ma questa volta, non cambiò strada.

Incominciarono con la solita solfa; il quadrante dell’orologio divenne color giallo invidia, e Mattia lesse: «Ma come accidenti riesce a far uscire quei suoni fantastici da quel pezzo di legno? Perché a scuola risponde alle domande della maestra anche senza bisogno di studiare?»

«Allora, secchione, come va?» gli dissero, convinti di fargli paura.

Mattia, invece, scoppiò in una fragorosa risata e rispose: «Ci vediamo ragazzi, statemi bene!»

Poi, decise di restituire l’orologio a Babbo Natale:

«Come io non vorrei che qualcuno leggesse nei miei pensieri, non è giusto che io legga quelli degli altri. Ma è il più bel regalo di Natale che io abbia mai ricevuto. D’ora in poi, non mi farò più prendere in giro. Grazie, Babbo Natale!»  Buonanotte.

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              20  dicembre        IL DISEGNO COL SOLE FELICE

Natale era nell’aria e Fata Pierina aveva tanta, tanta, voglia di bambini. Di quelli veri, quelli che ridono, giocano, parlano, e, perché no, si fanno i dispetti e il solletico.  Così, con un colpetto di bacchetta magica, era arrivata fin dentro a una scuola primaria. Girava, libera, tra le classi, ma non c’era pericolo che la vedessero: lei, era invisibile. Ah, i poteri di una fata! E ascoltava Vincent, sette anni, dire ad Angelo: «Sai che, a ricreazione, ho tirato giù un momento la mascherina e ti ho toccato perché sei il mio migliore amico? Però, io vorrei che si potesse tirarla giù sempre, e vorrei giocare alla lotta con te, e gli altri. Vorrei che il Covid se ne andasse via, e per sempre».  E Sebastian, dieci anni: «Io vorrei andare in piscina. Mi piace nuotare, lo faccio da quando ero piccolo piccolo».  Li osservava, Fata Pierina, tutti. Così bravi a disinfettarsi le mani prima di uscire dalla classe, prima di rientrare, prima della pipì, dopo la pipì.  Avevano capito, loro, che quella bella gomma appena comprata non si poteva più prestare al compagno, che non si poteva cantare, che la maestra non si poteva toccare, anche se la si sarebbe voluta abbracciare. Già, anche lei aveva la mascherina e, tante volte, non si capiva mica bene quello che diceva! Si piegavano in due, i bambini, sotto zaini pesanti, perché a scuola i libri non si potevano più lasciare. E avanzavano, sorridendo, con la fatica di una tartaruga con la casa sulla schiena. E parlavano di cose che si possono fare, che non si possono fare, di regole. E insegnavano ai grandi come fare.  Per fata Pierina, quei bambini erano eroi. Sapevano trovare il tutto nel nulla, loro. Marco, sei anni, andò dalla maestra: «Maestra, guarda. Ho fatto te». E la maestra: «Marco, ma che meraviglia!» «E ho fatto anche il cuore, vedi?» «Lo vedo. E hai disegnato anche il sole. E dentro, cosa c’è?» Marco, raggiante: «Questa è la Felicità».

Che quel 2020 fosse un anno strambo, lo sapevano tutti. Ma, fata Pierina, aveva capito che custodiva anche molte cose buone. Eh, sì, ma dove si trovavano?  Ovunque. Nel disegno di Marco, nelle cose che non si possono comprare, negli occhi e nelle rughe sorridenti. In un “Come stai?” in un “Ti voglio bene”.  Sul disegno di Marco, aveva visto la felicità dentro al sole e, in quel momento, lei decise di farsi vedere. Per ringraziare Marco.  Per guardare negli occhi quei bambini. Appena la videro comparire… oooooh, la riconobbero! E le chiesero una, cento, mille storie. Di Natale, naturalmente.  Mancavano solo 5 giorni… Buonanotte

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21 dicembre 2020           IL REGNO DI CATTIVONIA

Natale si avvicinava e, da ogni parte, si sentiva parlare di bontà. “A Natale tutti  son buoni, non solo i panettoni” diceva la pubblicità. Ma, se tutti erano buoni, i cattivi del regno di Cattivonia?  Infatti, erano molto preoccupati e… in una notte di luna piena, in una strampalata catapecchia, nel buio di una stradina senza uscita, in una segretissima riunione segreta, si riunirono. Mostri, fantasmi, vampiri, draghi, ladri, briganti, streghe, maghe, imbroglioni, si trovarono là. «Silenzio!» sentenziò Magnum Perfidus, il Re di Cattivonia. «Siamo qui riuniti per prendere una decisione rivoluzionaria. Ogni anno, noi cattivi, siamo esclusi dal Natale. E questo non ci sta bene, per niente! Perciò, il Consiglio dei Massimi Cattivissimi, del pregiato ordine degli Odiosi e Dispettosi, ha deciso che, in via del tutto eccezionale, per questo Natale, i cattivi diventeranno buoni. Ma solo il 25 dicembre, sia chiaro. Appena passata la mezzanotte, ognuno ritroverà la sua amata cattiveria».  Cosa, diventare buoni tutto d’un colpo? Così, il re Perfidus, organizzò un corso di bontà di base, via Zoom. Funzionò così bene che, il giorno di Natale si videro cose stratosferiche: draghi sputafuoco che aiutavano le nonnine ad attraversare la strada, porgendo la zampa ruvidosa. Ladri che regalavano i gioielli rubati a tutte le signore che incontravano.  Streghe che facevano inchini ai bambini di passaggio. Ah! E c’erano anche i briganti che preparavano il polpettone e poi invitavano a casa chi era solo. E i fantasmi? Ah! Loro cantavano ninne nanne ai piccini monelli, così le loro mamme potevano dormire un po’.  E le streghe? Spruzzavano polvere di pace dai cieli di tutto il mondo? Insomma, quel Natale, fu una giornata memorabile, che dico, non memorabile,  superfantastica!  Ma, si 12 rintocchi della mezzanotte, come d’accordo con il Re di Cattivonia, Magnum Perfidus, i cattivi-buoni dovettero tornare nelle loro strampalate catapecchie. Ma… nessuno gliel’ aveva detto – e nemmeno il loro re lo sapeva – che il virus della bontà era molto, moooolto contagioso. Di più: era impossibile guarire. Così, da quel Natale, i cattivi diventati buoni, pensavano solo pensieri buoni e, quando andavano a nanna, sognavano  sogni così dolci, ma così dolci, che il miele, a confronto, era più amaro dello sciroppo per la tosse. Ma era Natale… e, a Natale, la tosse si guarisce con sciroppo di coccole. E, poi, si canta così… “Ninna oh, ninna oh, questi buoni a chi li do?  Non li darò alla Befana, così non li terrà solo           una settimana. Li darò al lupo bianco che li terrà tanto, tanto”.  Buonanotte.

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22 dicembre  GIUSEPPE

C’era una volta Giuseppe. Giuseppe era un uomo coraggioso, laborioso, buono e sognatore. Per questo, lo chiamavano l’“Uomo dei sogni”. Cosa sognava? La gioia delle cose semplici, come sposare Maria, la sua fidanzata, abitare in una casetta accogliente, con un armadio di legno massiccio. Era un falegname, lui. L’avrebbe costruito con le sue mani! Di notte, gli piaceva passeggiare al chiaro di luna per fantasticare in pace. Oltre che sognatore, Giuseppe, era anche un gran pensatore. E, sotto sotto, nel segreto del suo cuore, sognava di diventare papà.

Ma non lo diceva mica alla gente! Certe cose non si possono dire. Confidava i suoi desideri solo al suo angelo custode, con cui andava a spasso per la vita. Siccome agli angeli piace abitare nei sogni – perché possono volare di qua e di là, anche a gran velocità, senza che i vigili diano la multa – l’angelo di Giuseppe, una notte, gli disse, in sogno: «Amico mio, ti aspettano grandi cose, sai?»                                                                                                               «Davvero? Sei sicuro? Grandi cose, a me, un umile falegname?»                                                                                                                                                           «Sì, io, mica dico bugie. Tu e Maria avrete un bambino e lo chiamerete Gesù. Sarà una persona molto importante, insegnerà l’amore a tutti gli uomini e racconterà i segreti della pace. Non avere paura, Giuseppe. Dio ti sarà sempre vicino. E pure io!»

Quando si svegliò, Giuseppe si sentì felice, ma anche preoccupato per un impegno così grande. Era vero che aveva gambe e braccia molto forti, che sapeva alzare tronchi con una mano sola e intagliare fiori nel legno, ma per avere un figlio così importante, forse, ci voleva qualcun altro. Mica sapeva tutte le cose della vita. Era sempre stato a Nazareth, lui. Poi, pensò a Maria, la sua promessa sposa, fin da quando aveva 14 anni. Avrebbe diviso con lei questa avventura. Perciò, disse «Sì». Maria e Giuseppe si sposarono e la festa durò per tanti, tanti, giorni. Si usava così, a quel tempo! Da quella volta, si prese grande cura di Maria. Le portava le più dolci marmellate di fichi, l’olio profumato delle olive sul pane croccante, i grappoli dai chicchi brillanti come perle, nella stagione dell’uva. E non la lasciava mai, mai, da sola.

Erano felici, nella loro casetta che sapeva di sole e di sabbia. I giorni passavano, tranquilli.  Giuseppe piallava il legno per costruire la piccola culla e Maria cuciva i vestitini per il bambino che stava per nascere. Ormai, tutto era pronto: culla, giocattoli, vestiti e copertine ricamate da Maria.

“San Giuseppe nella mano, per lavoro quotidiano, non aveva che il martello, una pialla e lo scalpello. Ma era giusto, ed era santo, e a Gesù fu posto accanto.”  Buonanotte.

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23 dicembre 2020            A BETLEMME                                                  

Un brutto giorno, mancava poco alla nascita di Gesù, arrivò nel paese di Nazareth una notizia che mise in subbuglio tutti, anche Maria, anche Giuseppe. Il grande imperatore romano Cesare Augusto voleva sapere quanti fossero gli abitanti del suo impero e, per saperlo, diede un ordine: ogni abitante doveva tornare al paese dove era nato e mettere il proprio nome sul registro. Giuseppe era nato a Betlemme, che era molto distante da Nazareth. In quel tempo mica c’erano treni o macchine o aerei.

Ma, agli ordini bisognava obbedire, altrimenti, Giuseppe sarebbe finito in prigione. Così, un mattino di buon’ora, Giuseppe caricò sul suo asinello le provviste, un fagotto con il corredino per il piccolo Gesù, e Maria. E partirono, a piedi. L’asinello ansimava per la stanchezza – con tutto quel peso sopra – e anche per il freddo. Maria non diceva una parola: pensava al bambino che stava per nascere, lei. Il viaggio era lungo,  faticoso. In alcuni giorni pioveva, in altri faceva capolino il sole, in altri soffiava un vento gelido. Maria e Giuseppe attraversarono pianure, colline, borgate, paesi. Finalmente, come un puntino lontano lontano, intravidero Betlemme. Fiuuu, tirarono un sospiro di sollievo. Un ultimo sforzo e sarebbero arrivati. L’asinello, proprio, non ce la faceva più. Ma, Betlemme era diversa da come se l’erano immaginata. Le strade erano piene di gente, le locande tutte occupate. Giuseppe voleva trovare un posticino tranquillo per far riposare Maria, ma avere ospitalità era veramente difficile. Giuseppe bussava a molte porte, ma tutti gli albergatori gli dicevano di non avere un posto libero. Era buio, ormai, e nessuna porta si apriva ai due sposini. Maria era davvero stanca e anche l’asinello stava diventando nervoso. Un uomo con la barba lunga, finalmente, mosso a compassione, disse a Giuseppe: «Vai avanti ancora un po’. Non lontano da Betlemme, troverai alcune grotte scavate nella roccia. Là potrai stare. Non ci va mai nessuno in quei posti!» Giuseppe lo ringraziò. Con Maria, di nuovo in groppa all’asinello, si recò là. Trovò una grotta libera, ammucchiò una bracciata di paglia asciutta e fece adagiare Maria. Vide che c’era un bue nella grotta, ma non se ne preoccupò. Legò l’asino alla mangiatoia e coprì Maria con il suo mantello perché riposasse un po’. Lui, no, lui non dormiva.  Guardava i falò dei pastori, e le tantissime stelle in cielo.                                                                                             “È davvero una notte magica. Sembra di essere dentro a una fiaba” pensava tra sé e sé.                                                                                                                  E, solo per un attimo, si addormentò.   Buonanotte.

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24 dicembre 2020   GESU’

Quella notte – era il 24 dicembre – mentre nel cielo blu scuro brillavano milioni di stelle, Giuseppe sentì un vagito e vide il volto di Maria illuminato da una luce radiosa. Corse, subito, ad abbracciare lei e il piccino. Fu un abbraccio unico, il suo, come a difenderli da ogni pericolo. Faceva molto freddo, il piccolo Gesù piangeva. Giuseppe, allora, lo adagiò nella mangiatoia affinché il bue e l’asinello potessero scaldarlo con il loro fiato. Maria non parlava. In adorazione silenziosa, cantava con il cuore la ninna nanna più bella del mondo.

Intanto, i pastori accampati con i loro greggi, erano stati svegliati dagli angeli: «Presto, alzatevi! È nato per voi il Salvatore tanto atteso. Andate, lo troverete avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia». I pastori svegliarono le pecore e corsero verso la grotta. Tra loro c’era Giacomino. Aveva sempre la testa tra le nuvole e camminava ballonzolando, di qua e di là, come se stesse sempre ballando. Parlava con le pecore, le chiamava principesse.  Qualcuno pensava che fosse un pastore un po’ matto! Matto o no, anche lui voleva portare un dono speciale a quel piccolo bambino. Con la lana delle sue principesse, aveva preparato una piccola coperta, soffice e bianca. La teneva sempre con sé, nella sacca che si portava sulle spalle.

Diceva: «È per il bambino che tra poco nascerà». Aveva sentito che sarebbe diventato un re buono che avrebbe portato amore per tutti. anche per lui: di questo era sicuro, sicurissimo. Fu il primo ad arrivare alla grotta di Gesù: il primo di tutti. Con le mani callose, tremanti di emozione, posò la coperta delle sue principesse sopra a quel bambino avvolto in fasce.  Maria e Giuseppe lo ringraziarono e lui ne fu davvero felice. Si mise in disparte, per lasciar posto agli altri pastori. Erano arrivati, in tanti, seguendo una stella dalla coda splendente che illuminava tutto l’Oriente.  Da lassù, vide tre Re in groppa ai cammelli. Udì che cercavano il Bambino Gesù per adorarlo. Allora si abbassò, si abbassò, finché i tre Re la videro. «Oh, una stella cometa che si muove nel cielo. Seguiamola!» dissero.  La Cometa li guidò fino alla grotta, piena di luci e di canti. Sul povero giaciglio, il Bambino Gesù apriva le braccia in un gesto d’amore. I re, che si chiamavano Re Magi, lo adorarono e gli offrirono preziosi doni: oro, incenso e mirra.  La stella cometa, che si era posata sul tetto, si sentì felice. Era la notte di Natale.   Buonanotte.

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25 dicembre   È NATALE

Anche Fata Pierina aveva portato doni a Gesù, gli stessi che aveva ricevuto: le ali della fantasia, l’amore dei bambini, le parole, la magia delle fiabe. Non aveva altro da dargli.  Il suo viaggio era finito. Di sicuro non era riuscita a raddrizzare lo strambo mondo del 2020, ma qualcosa di buono, sì, lo aveva fatto: aveva colorato d’oro i sogni, con una carezza al profumo di fiaba. L’ultima, l’aveva nascosta nella valingira: era la fiaba per Gesù.  C’era una volta, un povero calzolaio che lavorava nella sua unica stanza, dove viveva insieme alla moglie.
L’indomani, avrebbe consegnato un paio di scarpe per il figlio di un ricco signore.
«Hai già pensato a quello che potremmo comprarci con i soldi che ti darà?»  gli chiese la moglie.
«Sono piccole, ci daranno ben poco» scherzò lui.
«Ma scherzi? Sono scarpette degne di Gesù Bambino» disse la moglie.
«Hai ragione, sono proprio belle» rispose il calzolaio.  «Oggi è Natale. Cosa pensi di comprare per il pranzo?» le chiese, dopo un attimo.
«Ma, pensavo a un cappone».
«Già, senza un cappone non sarebbe un vero Natale. Ma, basta mezzo».
«Giusto, e da bere?»
«Una bottiglia di spumante, ma che sia buono. Tanto, domani avremo i soldi!»
A quel punto si sentì battere alla porta. Toc, toc.
La moglie la aprì e rimase sorpresa nel vedere un bambino che la guardava con grandi occhi neri. I suoi capelli erano spettinati e i vestiti sporchi. «Entra, piccolo. Ma tu sei scalzo!» gli disse. Il bambino non parlò.  Guardò le scarpe nuove, anzi, le accarezzò con gli occhi, ma senza invidia.
L’uomo e la moglie guardarono prima i piedini nudi del bambino e, poi, le scarpe nuove. Si capirono al volo. Il calzolaio prese in mano le scarpe, le osservò, contento.                                                                                                                                                                                                                                             «Prendile, te le regalo. Sono morbide e calde».
«Grazie. Sono le prime che porto. Ora, però, devo andare. Buonanotte», rispose, sorridendo, il bambino.
E, in un battito di ciglia, sparì.
«Niente più cappone né spumante. In fondo, a me lo spumante non piace nemmeno».
«Va benissimo, passeremo un bel Natale, lo stesso».  Marito e moglie pensavano a quel bambino.
«Credo che gli siano piaciute molto le mie scarpe» aggiunse il calzolaio.
«Si, mi sembrava molto contento» annuì la moglie.
In quel momento la stanza si illuminò.  E, nel punto in cui il bambino aveva calzato le scarpe, videro spuntare un abete con una stella in cima. Dai rami penzolavano capponi, bottiglie di spumante, e tanto, tanto altro ancora.
Soltanto allora, capirono chi fosse quel bambino.  Era Gesù!

 

 

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pierina gallina

Ho un nome e un cognome che non si dimenticano. Sono appassionata di scrittura, poesia, viaggi, libri e persone, in particolare bambini e saggi. Ho pubblicato cinque libri e sono una felice nonna di 7 nipoti, da 6 a 18 anni, mamma di tre splendide ragazze, e moglie di un solo marito da quasi 50 anni. Una vita da maestra e giornalista, sono attratta dalla felicità e dalla medianità, dallo studio della musica e degli angeli. Vi racconto di libri, bambini, nonni, viaggi, e del mio Friuli di mezzo, dove sono nata e sto di casa, con i suoi eventi e i suoi personaggi. Io continuo a scrivere perchè mi piace troppo. Spero di incontrarti tra i fatti e le parole. A rileggerci allora...

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