Il Ponte – ottobre 2022 - Pierina Gallina news

Il Ponte – ottobre 2022

Il Ponte – ottobre 2022

Il Ponte è un mensile del Medio Friuli – ottobre 2022

Ecco i miei articoli              GEORGE DEGLI AQUILONI       

                                              Fiaba consigliata da 8 anni in su

Disegno di Patrizia Pizzolongo – Codroipo

Aveva un accento strano, George. Nessuno sapeva da dove venisse, certo dall’estero, perché aveva un nome che a Rigolato, nella Carnia friulana, nessuno conosceva. E, poi, aveva un accento strano, che sapeva di musica, e una simpatica erre, che sembrava grattata da una forchetta sulla sabbia. Ma lì, in montagna, niente sabbia e, tra l’altro, a lui non piaceva nemmeno il mare.

George amava il Monte Comeglians, perché era unico al mondo e con la vetta più alta delle Alpi carniche. La sua bellezza gli faceva battere forte forte il cuore.

Anche se era cresciuto in pianura, la montagna lo aveva sempre attratto e, ora che poteva, aveva deciso di venire a vivere lì, al limitare di un fitto bosco, in una capanna rimessa bene a nuovo, pur senza grandi pretese.

E George non ne aveva, infatti. A lui bastava guardare i raggi del sole attraversare il cristallo del suo monte e riempire la valle di migliaia di arcobaleni.

E, d’inverno, lucidare gli occhi coi fiocchi leggeri che imbiancavano tutto, affondando in un silenzio pieno di gratitudine.

George doveva avere di sicuro una storia da raccontare, ma nessuno osava avvicinarsi a lui.  Avevano tutti una sorta di soggezione di quel signore di mezza età dalla barba lunga, ma non troppo, i capelli ricciolini e un po’ stempiato, che camminava tra le sue montagne, scarponi e zaino nero sopra il giubbotto rosso e una fascia nera attorno alla testa. E il sorriso buono, di chi la sa lunga sulle cose della vita.

Gli abitanti di Rigolato lo chiamavano George degli aquiloni.

Sì, lui li faceva, infatti, ed era molto, molto bravo.

Seduto sulla panchina di legno chiaro, davanti alla sua capanna, preparava il telaio con leggerissime cannucce di bambù, lo fissava con colla di farina a un foglio di carta dal colore vivace a forma di rombo.

Ci incollava una lunga e bizzarra corda avvolta su un rudimentale rocchetto. Era mancino George, ma educato alla destra dalla sua maestra delle elementari che gli sganciava una sberla ogni volta che grattava la erre e quando usava la mano sinistra.

Va beh, Tempi passati” pensava George, saggio come sempre.

Lo sapeva la sua Patrizia, per questo lo aveva lasciato libero di venire lì, tra le sue montagne. Preferiva il mare lei…

George catturava la curiosità di coloro che passavano davanti alla sua capanna. Con quegli occhi buoni, sembrava uscito da una fiaba, un misto tra il boscaiolo di Pollicino e Geppetto.

In centro a Rigolato vivevano tre fratelli, Matteo il più grandicello, Filippo di sei anni e Marco di nemmeno due. Anche loro amavano camminare nei boschi, naturalmente col permesso di mamma Sara e papà Fabio.

Un giorno di aprile capitarono davanti alla capanna di George.

«Possiamo giocare con te, con i tuoi aquiloni?» chiese Matteo, il più coraggioso dei tre.

«Ma certamente» rispose George, con uno dei suoi sorrisi migliori. Gli piacevano i bambini, soprattutto quelli che sapevano ascoltare le storie e lui ne conosceva tante.

Ma ancora non aveva confidenza, perciò si limitava a offrire loro un aquilone ciascuno, in modo che potessero giocarci. I tre fratellini tornarono e, giorno dopo giorno, George si offrì come compagno di giochi e di qualche monelleria, tipo correre giù dal pendio a perdifiato e, poi, far fare la giravolta alzandoli con le braccia verso il cielo o salire sugli alberi come scimmiette.

Ne condivideva molto volentieri la spensierata allegria e, pian piano, consegnava loro il suo mondo più segreto, le sue avventure in montagna, le scalate, le camminate in libertà.

I tre fratelli, a bocca aperta, imparavano a svolgere il filo per innalzare l’aquilone, a ricamare il cielo con le sagome capricciose, a inseguire il volo delle rondini, a distinguere un rondone da un balestruccio, a riconoscere le mazze di tamburo dai funghi galletti.

George ammirava quei bambini cavalcare esultanti gli aquiloni, con la briglia stretta tra le piccole mani sempre più esperte.

Gli piaceva guardarli, mentre fumava il profumato sigaro cubano, il suo preferito.

Anche quel giorno, Matteo, Filippo e Marco erano andati da lui, ma… non era seduto sulla panchina ad aspettarli, come faceva di solito.

Stavano per bussare, quando lo videro uscire con un aquilone straordinariamente bello in mano. Aveva i colori dell’arcobaleno e un grande sole giallo sorridente al centro. Timidamente orgoglioso, George, dopo aver impugnato il filo con mano sicura, partì in una bellissima corsa, finché si staccò da terra, dondolando lentamente, come se volesse salutarli.

Si lasciò portare in alto, sempre più su, come un piccolo fiore colorato d’azzurro in un silenzio che gridava: «Ciao

Matteo, Filippo e Marco non capivano questo nuovo gioco.

George non l’aveva mai insegnato loro.

Poi, lo videro scomparire dentro a una nuvola bianca. Continuarono a guardare e a cercarlo con occhi increduli, finché capirono che non l’avrebbero più rivisto.

Posarono i loro aquiloni sulla panchina e, per molto tempo, smisero di giocarci. Soltanto quando diventarono adulti, riconobbero il loro sentiero degli aquiloni e dei giochi festosi con George.

Era diventato un campo di girasoli, che, come soldati, tenevano la testolina teneramente reclinata, a indicare loro la via del cielo. Quello che George aveva raggiunto in groppa al suo aquilone.

La fiaba è una delle 52 contenute nel libro “UN ANNO DA FIABA”.

Acquistabile su www.pierinagallina.it  

 

LIBRO

GENTE DI MARE di Germano Pontoni         Orto della Cultura Editore

Dopo 27 libri dedicati al buon cibo, il Maestro di cucina  – nonché Presidente dei Cuochi del Friuli Venezia Giulia – Germano Pontoni, nel libro “Gente di mare”  parla di sé, dell’inizio della sua carriera, dei suoi 18 anni vissuti a bordo di prestigiose navi di linea, in rotta per l’Africa e il Medio Oriente.

Il giovane Germano, attratto dal mare e dalla navigazione, risponde alla chiamata di Monfalcone e, con la matricola 771, si imbarca sulle navi Asia e Africa del Lloyd Triestino, non sapendo, ancora, che, ad attenderlo, ci sarebbe stato tutto, fuorché accoglienza da rose e fiori.

Anzi. Il suo orgoglio di poter essere aiutante cuoco si scontra, fin dall’imbarco, con la realtà: prima di cucinare avrebbe dovuto fare una lunga trafila di lavori umili, sottomesso agli umori e, a volte, alle angherie dei suoi superiori.

Si fa le ossa, Germano, piangendo in segreto e dimostrandosi forte e sempre più appassionato di cucina, nonostante tutto.

Tra le onde e l’immensità del mare, e attraverso un lavoro affascinante che non dà meriti se non attraverso grandi fatiche, Germano lavora, facendo straordinari e coprendo turni di altri per realizzare il suo sogno: comprare un pezzo di terra dove costruire una casa per la sua famiglia.

Solo su soldo, con gli anni, Germano ce la fa e il suo orgoglio, oggi, è legittimo e avvalorato dalla stima di chi assapora i suoi cibi o si avvale della sua consulenza culinaria in ristoranti di nicchia.

Durante la sua carriera è stato un precursore dell’utilizzo di prodotti biologici e biodinamici in cucina e, proprio su questo, ha strutturato percorsi di formazione nelle scuole alberghiere.

Nel libro – che sarà presentato in Sala Abaco a Codroipo, venerdì 14 ottobre, ore 18.00 – Germano ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera, documentandole con fotografie d’epoca e racconti di vita vissuta.

Una preziosa lezione di vita per chi è giovane e sogna di intraprendere una simile carriera.

Una sorta di viaggio umano nel viaggio in mare, a prova che la passione e l’amore hanno sempre la meglio. Su qualsiasi difficoltà.

 

CODROIPO

RICORDANDO JACUM DAI ZEIS

Oggi si chiamerebbe “Influencer” Giacomo Bonutti, noto come Jacum dai Zeis, intelligente e arguto commerciante ambulante di cesti in vimini, che ha influito in maniera determinante sulla cultura popolare friulana di fine 800 e inizi 900.

Mancato il 5 settembre 1921, infatti, è entrato nella leggenda per gli aneddoti, le storie e le battute, che diffondeva oralmente.

Per onorarne la memoria, tre comuni del Medio Friuli – Pocenia, dove nacque, Talmassons dove visse e Codroipo, nei cui mercati lavorò per anni – e Il Friuli hanno dato vita al progetto “Jacum 100”.

Su proposta di Loris Asquini, a Codroipo si è concretizzato con una delibera di giunta di fine maggio 22. Per l’assessore alla cultura di allora, Tiziana Cividini, era occasione importante per il territorio, così come la presenza di Catine – Caterina Tomasulo, attrice ironica e generosa.

L’attuale assessore alla cultura, Silvia Polo, sta portando a compimento il progetto, che, la sera del 25 agosto, in Corte D. Moro, è stato premiato da folto pubblico e dal CFC codroipese.

Protagonisti anche Andrea Cecchini, presidente ASD Ceresetto, Fabio Pressacco e giovani ciclisti dell’ASD Gradisca, Antonio Ferraioli, presidente Codroipo C’è, Licio De Clara, Daniela Bressanutti e Sergio Scaini, attori di “Agnul Di Spere” e Adelino Beltrame, nella parte di Jacum, Thomas Cerioli, con pezzi della sua collezione di bici e maglie sportive d’epoca, Pierluigi Valoppi, che ha donato il restauro del monumento.

La serata cultural-allegra si è dipanata tra Jacum Dai Zeis, Catine e il 58simo Giro del Friuli, under 23, di ciclismo, la cui tappa, davanti al monumento, si è svolta domenica 3 settembre, seguita da “Campetti open day” con concerti serali, curati dall’Ottagono.

 

TALMASSONS

MOGOL HA  RACCONTATO  MOGOL

La serata di gala – per 500 persone –  graziata da Giove Pluvio, ha continuato la tradizione iniziata nel 2010 dal sindaco di allora, Pietro Mauro Zanin.  Con l’Accademia Musicale Naonis, diretta dal M° Valter Sivilotti, la partecipazione del cantante  Michele Cortese, la premiazione delle vincitrici del contest 2020 #LaMusicaNonSiFerma, le cantanti Caterina Elena Spiganti (Arezzo), Margherita Pettarin (Gorizia) e Consuelo Avoledo (Valvasone-Arzene).
Ma come si scrive una canzone?

MOGOL in persona ha risposto: “Parole e musica devono dire la stessa cosa”.

E ha raccontato, con immensa naturalezza, come e perché siano nate le sue canzoni.

Quelle che piacciono ed emozionano, a ogni età.

Mogol, 86 anni di gioviale vitalità e simpatia corroborante, accolto da applausi calorosi, è andato subito al tema della serata: le sue canzoni.
Qual è il suo segreto?

Sentire cosa dice la musica e segue i pensieri e far vedere le immagini. Sulle note di “Vorrei non vorrei, ma se vuoi” ha fatto l’esempio pratico, concludendo simpaticamente: «Adesso sapete come fare. Domani mattina, tutti a scrivere canzoni.  E tutti a cantare insieme. Per noi è un onore se cantate, così siamo, tutti, più felici e stiamo bene tutto l’anno».

«Parlo della mia vita nelle canzoni. Sono nato da due genitori giovanissimi: 23 e 21 anni. Amorevoli, ma rigorosi. Ciò che sono diventato lo devo a loro. Abitavo in periferia, con rare macchine, il frumento, il granoturco, la strada dove giocare. A 10 anni mi sono innamorato di una vedova di 21 e, quando appendeva gli abiti, le si alzavano le gonne. Io, incantato, aspettavo quel momento. Ecco, così è nata la canzone “I giardini di marzo”.

«A 18 anni, dopo il diploma, mio padre mi regalò un viaggio di sei mesi in Inghilterra, ospitato da una famiglia ebrea. Dormivo nella stanza di loro figlio, che era andato all’estero a studiare. Ero solitario e non uscivo mai. Di solito, trascorrevo il mio tempo con il padre. Un giorno, mi accompagnò in una grande villa, dove c’erano tanti ragazzi della mia età che preparavano una festa ebrea.  Sharon, una ragazza molto bella, mi accolse, chiedendomi se volessi essere il suo ragazzo. Risposi di sì, naturalmente. Ma le chiesi informazioni sui preparativi, facendole capire che non ero ebreo. “Mi dispiace – mi disse – non puoi essere il mio ragazzo». Da lì, l’ispirazione per “Pensieri e parole”.

E ha continuato, così, per due ore, descrivendo come sono nate le sue canzoni, da “Emozioni” alla “Canzone del Sole”, infiammando Talmassons  e il numeroso pubblico.

Entusiasta anche il sindaco Pitton, definitosi fortunato e felice per la serata di Gala e per aver incontrato Mogol, suo idolo fin da bambino.

Una serata spettacolare, dove le emozioni erano di tutti, sulle ali di canzoni immortali, tra standing ovation e applausi interminabili.

 

TALMASSONS

DAL FRIULI AL MONDO: CLAUDIO VISSA, DA FLAMBRO A MONTREAL, HA PROGETTATO  50 CENTRALI IDROELETTRICE

Ha mani grandi, fatte per il lavoro, Claudio Vissa, classe 1943.

Sguardo indagatore e viso paffuto indirizzano, subito, a una persona vivace, arguta e dotata di una memoria di ferro.  A un armadio d’uomo pronto al fare e al dire e al raccontare.

La sua lunga vita profuma di romanzo, di cinque lingue parlate, di affetti immensi per la sua famiglia di origine e per quella creata insieme alla moglie Giovanna, per lui, Giovannina, e per il lavoro. Mai stanco di lavorare, lui, anche 120 ore alla settimana.

La strada per essere riconosciuto eccellenza di friulano nel mondo, parte da Flambro, fazzoletto di terra nel comune di Talmassons (Ud), e dai suoi genitori.

Era il 1924 quando Filomena Cibischino, 16 anni, di Talmassons – abitava sulla strada vecchia –  e Pietro Vissa, 26, di Flambro, si conobbero, sulla barchetta di ritorno dal santuario di Barbana. Pietro era già stato in guerra, nel corpo dei granatieri di Sardegna. Si sposarono, nel 1928, nella chiesa di Flambro.  Filomena era incinta quando Pietro partiva per la Carinzia e l’Ungheria, a costruire case: era specializzato nella posa dei pavimenti. A novembre dello stesso anno nasceva Nives, nel 30, Teresa, nel 32 Attilio, nel 35 Renza, nel 37 Elvia, il 28 marzo 43 Claudio, nel 44 Mario, nel 47, Ottorino, nato morto.

Claudio si distingueva per la vivacità, tant’è che, sul carro trainato dai cavalli, a 6 anni, venne portato a Castelmonte per essere esorcizzato.

«Un frate con la barba lunga mi confessò e, io, non sapendo che peccati dire, ne inventai una sfilza. Mi benedì ogni parte del corpo e pregò, in latino, e mi esaminò da dietro spessi occhiali. Ma, tutto quel benedirmi, non servì a calmarmi. Io volevo lavorare e correre e salire sugli alberi e giocare».

A 9 anni, dopo la scuola e alla domenica, Claudio era l’assistente barbiere di Celeste. Ma, dopo aver lasciato un segno di rasoio sul viso di un cliente, capì che, quella non era la sua strada.

Per nulla attratto dalla scuola, a 12 anni, era assistente muratore da Vanni Degano, di Talmassons. Nel frattempo, il fratello Attilio e quattro sorelle, emigravano in Canada. Il padre, Pietro, non voleva saperne di lasciare il Friuli, ma, vedendo partire anche l’ultima figlia, dal porto di Trieste, le disse: «Frute, il prossim an vignin ancje no. Il prossimo anno veniamo anche noi».

E, così, fu.

Ottenuti i visti, Claudio, con il resto della famiglia, si imbarcò a Trieste e, dopo due settimane di navigazione, sbarcò ad Halifax. Da lì, salì sul treno degli emigranti, con capolinea Vancouver. Si fermò a Montreal, dopo 1500 km. L’11 novembre 1957, arrivò. Come benvenuto, un metro di neve e una distesa di baracche.

È, questa, l’America? Così brutta?” pensò.

A 14 anni, aveva le idee chiare: lavorare e lasciare la scuola.

Sapeva posare pavimenti e fare il muratore: in un anno, lavorò tremila ore, guadagnò 5mila dollari – la paga normale era di 800  – e riuscì a pagare tutti i debiti che la famiglia aveva avuto in prestito dal signor Boem, di Codroipo, per il viaggio.

A 18 anni era a capo di 40 lavoratori. Aveva una fidanzata, Jaqueline, ma i parenti di lei non erano favorevoli al matrimonio.

A 19 anni, Claudio si rese conto di voler studiare. Non conosceva l’inglese, ma il francese. Così, all’esame di ammissione alle scuole serali, gli fu concesso solo il livello elementare. A 20 anni, veniva promosso “graduato elementare”, con il 63 di punteggio.

Un professore ucraino lo avvicinò e gli consigliò di frequentare le scuole medie.

Il 3 novembre 62, a un ballo al Fogolâr Furlan, conobbe Giovanna, che, nel 1964 diventò sua moglie. In viaggio di nozze la portò a Flambro, accolti da tutti i parenti Vissa, ancora oggi molto uniti.

Al matrimonio seguirono due figli e dieci anni di scuola e lavoro e nessuna vacanza.  Claudio continuò a studiare a livello di superiori, università, master in ingegneria, frequentando sia di sera che di giorno. La moglie Giovanna lavorava affinchè lui potesse studiare. «Ma nulla ho fatto mancare alla mia famiglia – afferma, con orgoglio, Claudio.

D’estate lavoravo nella costruzione della miniera a Sudbury, in Ontario. Con 120 ore alla settimana, per tre mesi, guadagnavo come in un anno».

Dopo il dottorato all’università e il master, insegnò all’università per 5 anni.  Grazie alle competenze sulle  energie idroelettriche, ha aperto 5 compagnie di consulenza di ingegneria in India, Pakistan, Vietnam, Algeria, Costarica.  Nel progettare le centrali si è sempre impegnato al massimo affinchè non accadessero incidenti o inconvenienti, che, fino a ora, non si sono avverati.

Ha progettato oltre 50 centrali idroelettriche.  La più grande – 40mila watt – in Africa, dove ha visto la povertà assoluta e le case di pantano. La più rappresentativa, in Cina: le “Tre Gole”, 24mila megawatt.

«Non sono mai andato in pensione. Ho tutto in testa. Sono in grado di disegnare la più grande centrale idroelettrica del mondo» afferma.

Claudio definisce Montreal “la migliore città del  Canada”,  ma il suo cuore è friulano e la qualità di vita che trova a Flambro non esiste, in nessun’altra parte del mondo.  Tuttavia, alla domanda: «Tornerebbe per  restare?», risponde che il suo cuore dice sì e la testa dice no.

 

L’ultima volta, era venuto, qui, con la moglie. Ora è tornato, da solo, perché, lei, non c’è più. Gli è rimasta la figlia Renza, perché Robert è mancato nel 2000, e la sorella Elvia, che vive a Ottawa.  Ma, a Flambro, ha ancora tanti parenti, che lo accolgono e coccolano. Di recente è stato a Castelmonte e, per la prima volta, a Barbana. A rivivere l’incontro dei suoi genitori, di quasi un secolo fa. Dove tutto è iniziato!

 

RIVOLTO (UD)

A CASA DELLE FRECCE TRICOLORI, MUSICA E SCIENZE PER UNA SERATA SUPERSONICA

Le Frecce Tricolori sono vanto nazionale, si sa. Ma quanti hanno varcato la soglia dell’Aerobase di Rivolto, dove stanno di casa?

Ebbene, la sera del 13 settembre, le sue porte si sono magicamente aperte al territorio codroipese, per il concerto “ Infinitamente Blues” della cividalese Rhythm & Blues Band: 17 elementi e 42 anni di storia, di cui fa parte, come cantante, lo scienziato di fama mondiale Mauro Ferrari

Pluripremiato, scrittore, imprenditore, 40 anni in America, egli si è presentato con l’umiltà che gli appartiene e che lo rende grande, ben oltre i meriti scientifici.

L’evento è il risultato di un coraggioso volo di squadra, che ha unito il 2° Stormo, con il Comandante Marco Bertoli, le Frecce Tricolori, con il Comandante Stefano Vit, il Comune di Codroipo, rappresentato dal sindaco Guido Nardini e da numerosi esponenti del Consiglio Comunale, il Caffè Letterario Codroipese, presieduto da Luisa Venuti e l’Andos di Codroipo, presieduto da Patrizia Venuti.

Mix di musica e parole hanno trovato cuore e risalto nella presentazione, da dieci e lode, di Martina Del Piccolo, giornalista, nella location da sogno, nella presenza di autorità militari e civili, nella complicità della luna piena, nella solidarietà concreta per il Comitato Andos di Codroipo, in prima linea per la prevenzione e consulenza per le donne – con alcuni casi maschili – operate al seno.

Lo spettacolo ha infiammato il numeroso pubblico con l’effervescente repertorio, le parole tratte dal libro di Ferrari “Infinitamente grande, infinitamente piccolo”, hanno fatto vibrare corde emotive universali: il Dolore come generatore di forza e di Amore, come rinascita e positività. 30 anni di fallimenti per arrivare a guarire, come stanno facendo Ferrari e la sua equipe scientifica.

Sette volte cadi, otto volte ti rialzi. Che sia, questo, il senso della Vita?

 

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pierina gallina

Ho un nome e un cognome che non si dimenticano. Sono appassionata di scrittura, poesia, viaggi, libri e persone, in particolare bambini e saggi. Ho pubblicato cinque libri e sono una felice nonna di 7 nipoti, da 6 a 18 anni, mamma di tre splendide ragazze, e moglie di un solo marito da quasi 50 anni. Una vita da maestra e giornalista, sono attratta dalla felicità e dalla medianità, dallo studio della musica e degli angeli. Vi racconto di libri, bambini, nonni, viaggi, e del mio Friuli di mezzo, dove sono nata e sto di casa, con i suoi eventi e i suoi personaggi. Io continuo a scrivere perchè mi piace troppo. Spero di incontrarti tra i fatti e le parole. A rileggerci allora...

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