
Il PAESE nuovo magazine di cultura del Medio Friuli aprile 25
Il PAESE nuovo è un magazine di cultura, società, turismo del Medio Friuli. Per il numero 2 del 25 ho scritto due articoli: Codroipo, anteprima “Dedica Festival”, con Angelo Floramo e la musicista etnica Andrea Bitai, al Museo delle Carrozze di San Martino di Codroipo (Ud) e SUD AFRICA: il respiro della libertà, per la rubrica “Le mie orme nel mondo”.
SUD AFRICA: Il respiro della libertà
L’uccello di latta fende, fora, vince. Azzurro mare e levigata terra si piegano. Casette fitte stile lego, montagne seghettate, auto su fili di liquirizia, atterraggio e applauso. Cape Town è qui. “Hello mama, No problem mami, brillanto papa”, un cenno del capo, un sorriso non stampato ed è musica, tra visi di cioccolato a cinquanta denti di avorio, occhi fondo notte stellata, e balli e colori. Ridono, eccome se ridono.
Ballano, a ritmo, ed è festa, con un nulla sazio di tutto.
Vado tra loro. Mi offrono le bacchette per suonare. Scompaiono le convenzioni, il chi sono e perché. Non c’è un perché. C’è la punta sud dell’Africa, ci sono i suoi respiri musicali, la sua gente felice.
Esulto, per il mare, il porto, la brezza leggera, le palme e, nell’aria, i canti. Di un allegro Gospel, cadenzato, ritmato.
C’è, pure, l’arcobaleno. Intero. Quasi a proteggere questo lembo d’Africa dal mondo. Quello di fuori!
Il secondo giorno ecco la Penisola delle Foche, a Cape Point, dove gli oceani Atlantico e Indiano si sposano. L’Orca mangia lo squalo, lo squalo mangia la foca, la foca mangia il pinguino, il pinguino mangia le acciughe.
L’Africa è cosi: non sai mai cosa vedi.
La natura qui è selvaggia e autentica, con i pinguini che camminano a fianco di enormi struzzi. Il Museo della Schiavitù mette il dito nelle profonde cicatrici lasciate dall’apartheid, ma anche nel coraggio di una nazione che ha lottato per la sua libertà. I volti di Nelson Mandela e della sua gente educano al valore del perdono e della speranza. Volti senza anagrafe e con i mesi come cognomi, e apartheid: bianchi e neri divisi, fino al 1976. Nel 1990, Mandela è presidente, dopo 25 anni di prigionia. La prima cosa che ha fatto è stata abbracciare un bambino. Muore nel 2010, a 97 anni.
Il viaggio prosegue verso il Parco Kruger, uno dei più celebri del continente. L’emozione di un safari è indescrivibile. Nella savana autentica, ecco il leone. Con la sua solitudine e la sua forza è simbolo di resistenza, mentre gli elefanti insegnano l’importanza della famiglia e della memoria. La vita, qui, è un ciclo continuo, dove la morte è solo una parte del grande disegno della natura.
Il Matimba Lodge, dove soggiorniamo, è un angolo di paradiso. Immerso nella natura, con la sua bellezza selvaggia e incontaminata, è il luogo ideale per riflettere. Ogni suono, ogni respiro, connette a questa terra misteriosa, dove l’uomo è solo un ospite. La notte sa di pace, sotto a un cielo stellato, dove il silenzio è rotto solo dal richiamo di un ippopotamo.
Il safari notturno regala altre immagini straordinarie: il leone solitario che attraversa la strada, la iena che scruta l’oscurità, l’elefante che si muove silenzioso nella savana. Ogni incontro è un dono, ogni sguardo una suggestione che sembra un segno. La savana non è solo un luogo fisico, ma un insegnamento di pazienza e rispetto.
Lasciando il Parco Kruger, la gratitudine per aver imparato a guardare oltre la superficie è sovrana. Infine, il Blyde River Canyon dispensa visuali mozzafiato. Tre punti panoramici offrono una vista straordinaria su uno dei canyon più grandi al mondo. La riserva naturale, esplorata a piedi, rivela ancora una volta la grandezza della natura sudafricana.
La parte sud africana, così accogliente e ricca di profumi, timbri musicali, colori, allegria e natura verdissima, è stata un ritorno che non ha bisogno di parole, perché il cuore lo sa già: l’Africa è terra che non si dimentica. Mai!
CODROIPO (Ud)
Anteprima “Dedica Festival” con Angelo Floramo e Andrea Bitai
Un Angelo Floramo strizzacoscienze ha messo le guarnizioni ai sentimenti del pubblico da tutto esaurito al Museo delle Carrozze di San Martino, il 20 febbraio 25.
Insieme alla musicista ungherese Andrea Bitai ha calamitato l’attenzione sul tema di Dedica, incentrato sullo scrittore iraniano Kader Abdolah, e sull’ingiustizia della storia con le donne, di ieri e di oggi.
L’assessore Silvia Polo ha avvalorato l’iniziativa, ringraziando il Caffè Letterario Codroipese, presieduto da Luisa Venuti.
Dedica vuol dare fiato a chi non ha potuto gridare, e non può farlo nemmeno oggi, e a chi, se ha gridato, non è stato ascoltato. Una umanità debole e raminga che va oltre la visuale della nostra consapevolezza, un diluvio di ingiustizie per le donne, che Floramo ha portato in scena da affascinante affabulatore quale egli è. Ha suddiviso la narrazione in sei scene e avvolto nella propria anima ogni parola e ogni pausa e ogni lacrima.
Ha sapientemente intessuto figure di donne, incrociando le giovani Mascia, Niscia, Arezan di Teheran, massacrate per aver messo male il velo o per aver avuto il coraggio di spogliarsi davanti al mondo.
Quante donne come loro, nei tempi andati e in questo mondo attuale, hanno corpi come carte geografiche di violenza, sfregiate, violate, dimenticate, rinchiuse nelle carceri domestiche?
La musica di Andrea, con violoncello etnico, e voce antica, ne ha scandito le narrazioni, tutte strofinate di muto dolore.
Nella prima, Angelo ha condotto a Teheran, dove una bambina già donna si è spogliata, in piazza. “Matta, è matta – dicono ancora – deve essere rieducata, così la voce dell’Occidente che tanto pontifica è tranquilla.
Donna vita libertà è slogan passato di moda. Ma che paura suscita un corpo di donna?
Altre domande e parole, granitiche scudisciate per le coscienze, hanno trasportato fin dentro il Mare Mostrum, al di là dei confini della coscienza, in un verminaio di immondizia di plastica.
Poi, Aquileia, 488 d.C. quando l’arcivescovo Cromazio giudicava una bambina di 12 anni, Susanna, stuprata e colpevole di aver indossato un vestito di carne. Una colpa pagata con la condanna a vita.
E, a Cividale, la regina Romilda, vedova di Gisulfo, stuprata da 24 condottieri e poi infilzata. Solo grazie a Paolo Diacono si sarebbe saputa la vera storia, svelata da Maria Torre Barbina. Romilda si era sacrificata per salvare la città da quelle bestie che gli uomini talvolta sanno diventare.
E ancora parole come paesaggi sonori.
Floramo ha poi parlato di ironica gentilezza, nominando Ermes di Colloredo.
Nella quinta ha scelto il silenzio, prima di parlare della partigiana Giulia e del campo di concentramento per donne gestito da donne. Dove i colpi di crudeltà facevano arrossire perfino il diavolo.
L’ultima scena inquadrava la stazione di Udine, oggi.
“Sei lì e aspetti la bestia affamata di carne umana. Hai labbra troppo rosse e gonfie. Le donne ti guardano. Gli uomini fingono indifferenza. Hai spalla nuda di pelle bambina e una feroce sensualità, capelli ricci e castani, il pallore malato del viso, le calze smagliate. E l’odore di fatica del lavoro. Sei vecchia di dolore e di stanchezza, lunga come la strada dei Balcani. Fagottino di ossa, ti chiamano troia, puttana, cagna, zingara, nera. In una notte di sirene, violentata dagli arcangeli,
tu dovresti essere cantata in un poema.”
Una serata che non si è conclusa solo con applausi, ma con rammendi a cicatrici di inutile crudeltà.